L’INTERVISTA
La battaglia di Angela Napoli
«Senza la legalità non c’è sviluppo»
di MASSIMO CLAUSI
ANGELA Napoli concorre per il Pdl a sedere per la quinta volta consecutiva a Montecitorio. E’ la pasionaria di An. Le sue battaglie per la legalità la costringono da cinque anni a vivere sotto scorta. Anche questa intervista ha una location particolare: la macchina blindata della sua scorta.
Pentita? Si è mai chiesta se ne vale la pena?
«Quest’esperienza mi ha insegnato che peso può avere su una persona la mancanza di libertà che scaturisce da un impegno prima civile e poi politico. Guai se si pensasse che quella per la legalità è una battaglia persa. E’ chiaro che anch’io ho avuto i miei momenti di sconforto, sono stata tentata dal dire basta. Poi sono tornata subito sui miei passi, stimolata da un lato dai cittadini che mi hanno scelto come punto di riferimento, dall’altro dall’amore che ho per la Calabria. La mia esperienza personale ha rafforzato le mie convinzioni. Vorrei far capire a tutti i calabresi che la mancanza di libertà è la vera cappa che affligge questa regione».
Ha mai avvertito la sua come una battaglia di pochi volenterosi? Non ci sembra che a Roma la Calabria sia davvero al centro dell’attenzione
«Non è così. Il dibattito a Roma su queste cose è vivo. A livello nazionale il Pdl ha parlato molto di sicurezza e lotta alla criminalità evidenziando le contraddizioni del governo Prodi. Non si può parlare di contrasto alla criminalità e poi tagliare circa un miliardo di euro, come è stato fatto nell’ultima Finanziaria, al settore sicurezza».
I soldi alle forze dell’ordine bastano?
«Da soli certamente no. Noi proponiamo anche leggi adeguate che garantiscano la certezza dell’espiazione della pena, eliminando rito abbreviato e patteggiamento per i mafiosi».
A che punto è la lotta alla criminalità organizzata?
«Purtroppo gli ultimi accadimenti hanno evidenziato aspetti inquietanti. I fatti di Crotone e ancor prima quelli di Duisburg dimostrano il coinvolgimento di persone sempre più giovani. Anche l’abolizione della Bossi-Fini sull’immigrazione ha finito per creare maggiore manovalanza alla criminalità organizzata».
Ma lo Stato sembra arrivare sempre un minuto dopo
«Non è sempre così. Va anche detto che rispetto ai fatti di Crotone c’è stata forse una sottovalutazione della pericolosità delle cosche di quel territorio. Io stessa avevo lanciato l’allarme. La cattura dei presunti responsabili di atti intimidatori ad agenti di Polizia e la cattura di uno dei presunti appartenenti al commando che avrebbe dovuto attentare alla vita del pm Bruni hanno fatto parte di mie precise denunce, finite in atti parlamentari».
Lei rischia spesso e in prima persona. Che effetto le fa leggere sui giornali la vicenda che riguarda Alberto Sarra, capogruppo regionale di An?
«Mi auguro che non sia vero e che le indagini riescano a stabilire la verità. Se questa vicenda dovesse essere vera, mi addolora molto. An, non Angela Napoli ha nel suo Dna la lotta alla criminalità».
Senta, la relazione antimafia ha sollevato un polverone. Qualcuno dice che viene utilizzata a fini elettorali
«Io stessa ho criticato questo uso elettoralistico della relazione. Sono d’accordo che i calabresi assumano consapevolezza di queste cose, ma il vero contrasto non può essere più gestito attraverso relazioni o sbandieramenti degli atti in questa o quella colorazione politica. Ci vogliono norme precise che aiutino le forze dell’ordine nella cattura dei latitanti, nella confisca dei beni mafiosi».
Le confische sembrano languire
«Qui c’è un vuoto nella relazione. Occorre una legge che aiuti ancora meglio a individuare i beni illeciti. In questo la ‘ndrangheta si è fatta molto furba con le commistioni, i prestanomi. Io penserei a una legge che in questi casi invertisse l’onere della prova».
Chissà come saranno contenti gli industriali. A loro non mi sembra sia piaciuta molto la relazione
«Su questo sono d’accordo con Forgione. Addebito all’imprenditoria calabrese una mancanza di coraggio che ha portato alla non netta individuazione fra legale e illegale. De Rose ha ragione nel dire che l’allontanamento dall’associazione di chi paga il pizzo è un doppio danno per l’impresa, ma è una prima demarcazione fra chi scende a patti e si serve della criminalità e chi la combatte. Agli imprenditori calabresi chiedo più coraggio e unità».
Non le sembra che la sua attività politica si stia caratterizzando solo per la lotta alla mafia?
«In realtà io penso quotidianamente alle 250.000 famiglie calabresi che vivono il disagio sociale. Legalità, sicurezza e giustizia sono componenti fondamentali per far uscire la gente di Calabria da questa condizione. Senza legalità non c’è sviluppo».
«Quest’esperienza mi ha insegnato che peso può avere su una persona la mancanza di libertà che scaturisce da un impegno prima civile e poi politico. Guai se si pensasse che quella per la legalità è una battaglia persa. E’ chiaro che anch’io ho avuto i miei momenti di sconforto, sono stata tentata dal dire basta. Poi sono tornata subito sui miei passi, stimolata da un lato dai cittadini che mi hanno scelto come punto di riferimento, dall’altro dall’amore che ho per la Calabria. La mia esperienza personale ha rafforzato le mie convinzioni. Vorrei far capire a tutti i calabresi che la mancanza di libertà è la vera cappa che affligge questa regione».
Ha mai avvertito la sua come una battaglia di pochi volenterosi? Non ci sembra che a Roma la Calabria sia davvero al centro dell’attenzione
«Non è così. Il dibattito a Roma su queste cose è vivo. A livello nazionale il Pdl ha parlato molto di sicurezza e lotta alla criminalità evidenziando le contraddizioni del governo Prodi. Non si può parlare di contrasto alla criminalità e poi tagliare circa un miliardo di euro, come è stato fatto nell’ultima Finanziaria, al settore sicurezza».
I soldi alle forze dell’ordine bastano?
«Da soli certamente no. Noi proponiamo anche leggi adeguate che garantiscano la certezza dell’espiazione della pena, eliminando rito abbreviato e patteggiamento per i mafiosi».
A che punto è la lotta alla criminalità organizzata?
«Purtroppo gli ultimi accadimenti hanno evidenziato aspetti inquietanti. I fatti di Crotone e ancor prima quelli di Duisburg dimostrano il coinvolgimento di persone sempre più giovani. Anche l’abolizione della Bossi-Fini sull’immigrazione ha finito per creare maggiore manovalanza alla criminalità organizzata».
Ma lo Stato sembra arrivare sempre un minuto dopo
«Non è sempre così. Va anche detto che rispetto ai fatti di Crotone c’è stata forse una sottovalutazione della pericolosità delle cosche di quel territorio. Io stessa avevo lanciato l’allarme. La cattura dei presunti responsabili di atti intimidatori ad agenti di Polizia e la cattura di uno dei presunti appartenenti al commando che avrebbe dovuto attentare alla vita del pm Bruni hanno fatto parte di mie precise denunce, finite in atti parlamentari».
Lei rischia spesso e in prima persona. Che effetto le fa leggere sui giornali la vicenda che riguarda Alberto Sarra, capogruppo regionale di An?
«Mi auguro che non sia vero e che le indagini riescano a stabilire la verità. Se questa vicenda dovesse essere vera, mi addolora molto. An, non Angela Napoli ha nel suo Dna la lotta alla criminalità».
Senta, la relazione antimafia ha sollevato un polverone. Qualcuno dice che viene utilizzata a fini elettorali
«Io stessa ho criticato questo uso elettoralistico della relazione. Sono d’accordo che i calabresi assumano consapevolezza di queste cose, ma il vero contrasto non può essere più gestito attraverso relazioni o sbandieramenti degli atti in questa o quella colorazione politica. Ci vogliono norme precise che aiutino le forze dell’ordine nella cattura dei latitanti, nella confisca dei beni mafiosi».
Le confische sembrano languire
«Qui c’è un vuoto nella relazione. Occorre una legge che aiuti ancora meglio a individuare i beni illeciti. In questo la ‘ndrangheta si è fatta molto furba con le commistioni, i prestanomi. Io penserei a una legge che in questi casi invertisse l’onere della prova».
Chissà come saranno contenti gli industriali. A loro non mi sembra sia piaciuta molto la relazione
«Su questo sono d’accordo con Forgione. Addebito all’imprenditoria calabrese una mancanza di coraggio che ha portato alla non netta individuazione fra legale e illegale. De Rose ha ragione nel dire che l’allontanamento dall’associazione di chi paga il pizzo è un doppio danno per l’impresa, ma è una prima demarcazione fra chi scende a patti e si serve della criminalità e chi la combatte. Agli imprenditori calabresi chiedo più coraggio e unità».
Non le sembra che la sua attività politica si stia caratterizzando solo per la lotta alla mafia?
«In realtà io penso quotidianamente alle 250.000 famiglie calabresi che vivono il disagio sociale. Legalità, sicurezza e giustizia sono componenti fondamentali per far uscire la gente di Calabria da questa condizione. Senza legalità non c’è sviluppo».
2 commenti:
L'intervista da lei rilasciata a La Stampa del 12 aprile, contiene una verità. La bassa e media 'ndrangheta ha invitato a votare MPA. Ci ritroveremo con "parenti" impresentabili. Andrea Spinella
In una famiglia ci sono sempre dei parenti impresentabili, l'importante è rimanere se stessi e non accettare tutto per partito preso. In famiglia si può anche non condividere alcune scelte rimanendo e continuando a lavorare con i propri mezzi e valori.
C'è sempre chi fa la differenza.Non preoccupiamoci dei parenti impresentabili,pensiamo a cambiare le cose in Italia.
Del resto, tutto il mondo è paese.
Ernesto T.
Posta un commento