Ho sempre assunto le decisioni ragionando e studiando e
poiché sono pienamente consapevole che la Costituzione è la legge fondamentale
dello Stato e, quindi, rappresenta la base della convivenza civile, ho voluto
studiare le 60 pagine della riforma costituzionale con testo a fronte con la
Costituzione vigente. Ho potuto così verificare le ragioni del “SI” e quelle
del “NO” senza lasciarmi condizionare dagli uni o dagli altri.
Per iniziare, accanto al testo che andavo ad esaminare ho
posto il quesito che ognuno di noi si troverà sulla scheda referendaria,
pensando che alla luce delle cinque apparenti semplici domande, avrei potuto
prendere presto e facilmente la mia decisone. Così non è stato giacché fin
dall’inizio sono stata costretta a prendere atto che la riforma proposta
modifica ben 47 articoli, ossia più di un terzo, della Costituzione vigente;
modifica inoltre 3 leggi costituzionali.
Da subito, quindi, mi sono posta la domanda sulla liceità che
una modifica così corposa della Costituzione potesse essere proposta da una Parlamento eletto con legge elettorale dichiarata
incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014. Di
fatto questo Parlamento ha varato la riforma della Costituzione e della legge
elettorale a colpi non di maggioranza, bensì di minoranza travestita da
maggioranza grazie al premio abusivo del Porcellum. A parte il fatto che
ritengo assurdo che una modifica così corposa della nostra Carta Costituzionale
sia stata approvata a colpi di voti di fiducia, ai quali ha fatto ricorso il
Governo.
Ed entro nel merito:
Il nuovo Parlamento,
sia chiaro parlo di Parlamento perché avremo sempre Camera dei Deputati e
Senato, sarà in gran parte formato da membri non eletti dai cittadini, ma
nominati dalla casta con la legge elettorale Italicum: i due terzi dei
deputati, con il meccanismo dei capilista bloccati (ogni capolista bloccato
potrà candidarsi in 10 circoscrizioni), e tutti
i senatori scelti dai Consigli regionali e dal Capo dello Stato.
Alla Camera dei
Deputati, composta sempre da 630 (guarda caso non hanno nemmeno soppresso i
12 deputati eletti nella Circoscrizione Estero, la cui presenza grava non poco
sulle casse della Camera!) e che sarà quindi il ramo del Parlamento dominante,
con l’Italicum è previsto un abnorme premio di maggioranza al partito più
votato. Pensare che questo, anche se con il ballottaggio rappresenta il 25% dei
votanti si prenderà il 54% dei seggi. Si comprenderà che la riforma proposta
sposta la concentrazione del potere dalla lista vincente al governo da essa
espresso. Sarà la sola Camera ad
accordare o revocare la fiducia al Governo.
Ci sarà poi il Senato
c.d. delle Autonomie e dei Territoti, costituito da 100: 21 sindaci, 74
consiglieri, scelti dai Consigli regionali, non quindi eletti dai cittadini,
non quindi eletti a suffragio universale
e diretto (al diavolo la sovranità
popolare!) e 5 rappresentanti del Quirinale. Ci saranno inoltre gli ex
Presidenti della Repubblica e gli ulteriori senatori a vita già in carica al momento
dell’entrata in vigore della riforma. A tutti verrà regalata l’immunità parlamentare, il che
rappresenterà il vero vantaggio per questi privilegiati. Non v’è dubbio che si
candideranno a Palazzo Madama quelli che più ne hanno bisogno: i primi
cittadini e i consiglieri con la coscienza sporca oppure già inquisiti che
rischiano arresti, intercettazioni e perquisizioni. I risparmi tanto
sbandierati saranno minimi se è vero come è vero che il Senato come struttura
burocratico-amministrativa avrà gli stessi oneri economici di prima. Non solo
ma essendo la carica dei senatori legata al singolo mandato territoriale, sarà
presente un ciclo di sostituzione continuo dei componenti del nuovo senato, e
non si potrà quindi garantire un ruolo consultivo stabile.
Pensate inoltre che il Senato costituito da senatori non
eletti dovrà nominare 2 dei 5 giudici
costituzionali di spettanza parlamentare.
La riforma non abolisce il bicameralismo, diventerà un bicameralismo
differenziato anziché perfetto. Infatti
i 630 deputati e i 100 senatori si rimpalleranno le leggi con il classico
sistema bicamerale; il Senato dovrebbe votare paritariamente insieme alla
Camera per numerosi tipi di legge (articolo
70) tra cui quelle costituzionali, quelle che determinano le funzioni
fondamentali dei comuni e delle città metropolitane, inoltre il nuovo Senato
avrà poteri d’intervento su ciò che concerne la materia europea. Sono ben 22 le
categorie di norme che rimangono di competenza delle due Camere, con procedure
di approvazione diverse a seconda delle materie che trattano. Pensate che si passerebbe da due possibili
procedure legislative (ordinaria e speciale) ad un numero non ancora ben
individuato di procedure alternative (secondo alcuni 7, secondo altri 9,
secondo altri ancora 10 o 11). Non a caso i c.d. riformatori non entrano
mai nel merito del proposto articolo 70,
giacché nemmeno i costituzionalisti sono in grado di darne un’interpretazione
unanime.
E passiamo al Titolo V.
Con la motivazione che le Regioni non hanno ben funzionato, anziché
sopprimerle, la riforma abolisce la legislazione concorrente tra Stato e
Regioni, ma lo fa in maniera ambigua su alcune materie. Ad esempio in materia
di salute, tema importante per la Calabria, la parte legislativa che ritorna di
competenza dello Stato, riguarda solo le “disposizioni generali e comuni per la
tutela della salute”, mentre lascia alle Regioni la competenza in materia di
“organizzazione dei servizi sanitari e sociali”, che rappresenta il vero punto
debole del sistema che porta come conseguenza l’impossibilità di garantire a
tutti un uguale diritto alla salute. Ed ancora, in nome della c.d. “clausola di
supremazia”dello Stato, il Governo potrà
scavalcare le Regioni in nome “dell’interesse nazionale” e le Regioni ordinarie
conteranno molto meno, mentre le cinque a statuto speciale (spesso folli centri
di spesa e spreco) avranno poteri legislativi e finanziari ancora più forti.
Per l’elezione del
Capo dello Stato, considerato il
numero esiguo di senatori rispetto a quello dei deputati, prevarrà la volontà
della Camera e del premier che in quel momento la controlla. E poiché se non si
raggiungerà prima il quorum necessario per la elezione, alla settima votazione
saranno sufficienti solo i 3/5 dei partecipanti al voto, il rappresentante
dell’unità nazionale potrà essere eletto con molto meno della maggioranza
assoluta del Parlamento.
La sovranità popolare viene
annientata non solo sottraendo di fatto al popolo il diritto di voto e di
scelta, ma rendendo anche più difficili ed impresentabili le leggi di iniziativa popolare giacché
con la riforma ci sarà bisogno di ben 150mila firme, rispetto alle 50mila
previste oggi, per la presentazione.
E per i referendum
abrogativi occorreranno 800mila firme.
E per finire, considerati i costanti appelli dei comitati per
il “SI” a votare per la riforma costituzionale per non far cadere il Paese
sotto l’incudine di implicazioni economiche, mi sono più volte sottoposta alla
lettura della riforma costituzionale per cercare di individuare da quale
articolo, ove non approvato, potessero sopraggiungere implicazioni economiche. Bene, definitemi pure ignorante, ma
sinceramente non sono riuscita a trovarne nemmeno uno.
Sono orgogliosa di
essere cittadina italiana e di aver sempre rispettato la vigente Carta
Costituzionale, anche se non sempre completamente applicata, ma convintamente
la ritengo migliore della riforma varata da questo Parlamento.
ECCO PERCHÉ VOTERÒ “NO”!
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