mercoledì 23 dicembre 2009

Non abbassare la guardia sul Porto di Gioia Tauro

Chi riteneva che le cosche della Piana di Gioia Tauro avessero distolto la loro attenzione dal Porto, è stato sicuramente smentito dall’importante operazione odierna, denominata “Maestro”.
L’efficace attività investigativa dei ROS, dell’Agenzia delle Dogane, dell’AISI e della DDA di Reggio Calabria ha individuato come le cosche Molè e le altre ‘ndrine della Piana, dopo aver gestito i traffici illeciti transnazionali attraverso il Porto di Gioia Tauro, sono riuscite ad avviare attività di riciclaggio nel Lazio, dove ormai sono diventate padrone di larga fetta di importanti e lussuose strutture alberghiere e commerciali.
Il contemporaneo sequestro dei beni, per un ammontare di circa 50 milioni di euro, è un’essenziale attività di prevenzione che “attacca” i patrimoni illeciti dei quali si sono dotate le cosche della ‘ndrangheta.
Nel dare atto alla DDA di Reggio Calabria, guidata dal Procuratore Pignatone, del rilevante impegno profuso negli ultimi mesi per aggredire i patrimoni illeciti, mi auguro che vengano accelerati i tempi per giungere alla confisca degli stessi patrimoni, in modo da intaccare definitivamente l’impero economico delle cosche-
Auguro, altresì, che non venga abbassata la guardia sul Porto di Gioia Tauro, che ha visto, fin dalla sua nascita, crescere sempre più l’attenzione della ‘ndrangheta.

On. Angela Napoli
Componente Commissione Parlamentare Antimafia

Taurianova, 22 dicembre 2009

sabato 19 dicembre 2009

Il mancato commissariamento della Sanità calabrese

Altro colpo inferto alla Calabria: in periodo pre-elettorale e dopo quasi cinque anni di motivate denunzie non posso nascondere il rammarico nell’ apprendere che gli impegni assunti dal Presidente Berlusconi e dal Ministro Sacconi con i Calabresi, all’indomani della nomina a Ministro della Salute di Fazio, sono stati completamente annullati. Nessun commissariamento della sanità regionale e, in aggiunta, lo sblocco di ben 700 milioni di euro per l’ammodernamento degli ospedali calabresi.
Altro che “inciucio”: 2166 miliardi di debito sulle spalle dei cittadini, chiamati a pagare i ticket sanitari, ad assistere alla chiusura di ben 44 strutture ospedaliere e costretti a rimanere nell’area “B” della sanità italiana, nel mentre direttori generali, amministrativi e sanitari rimarranno tranquillamente ai loro posti.
Esultano Loiero ed i suoi fiancheggiatori: accordo siglato ed, in aggiunta, nomina a commissario per l’emergenza, nonchè creazione di un Ufficio per il piano di rientro!
Cosa possiamo pretendere ancora! Una legge finanziaria che cancella la Calabria dal contesto Nazionale, il Cipe che mantiene il blocco dei fondi PAR – FAS, il Porto di Gioia Tauro che si avvia verso il ridimensionamento, sanità allo sfascio, disoccupazione galoppante!
Adesso comprendo i motivi delle mancate risposte ai miei innumerevoli atti ispettivi sulla sanità calabrese!
E’ d’obbligo ricordare a questo punto una frase detta dal Governatore Loiero alcuni mesi fa:” Ma voi pensate davvero che noi calabresi abbiamo l’anello al naso?”. Naturalmente la domanda è indirizzata al Governo Nazionale!

On. Angela Napoli

Roma, 18 dicembre 2009

giovedì 17 dicembre 2009

L'articolo di FareFuturo Web Magazine su Vittorio Feltri

Un giornale barricadero e militante non può rappresentare un grande partito
E se il "nemico interno" fosse Vittorio Feltri?


di Filippo Rossi

No, non è colpa di Silvio Berlusconi. Proprio no. E non è neanche colpa di Fabrizio Cicchitto, in fondo. Neanche di Gasparri, di Bondi o di Quagliariello. E neanche di un parlamentare come Giancarlo Lehner, che pure è sempre disponibile a qualche uscita scomposta e di cattivo gusto. No. Forse la colpa è, soprattutto, di una persona che con la sua azione mediatica influisce fin troppo sul fare e sul pensare politico del centrodestra italiano. E questa persona è il direttore del Giornale, Vittorio Feltri.
Non è possibile che un grande partito moderato, che punta a rappresentare la maggioranza dei cittadini italiani, che si riconosce nel Partito popolare europeo, che nel suo manifesto dei valori pone al centro la persona umana e la sua dignità, un partito che deve affrontare la sfida del governo in un momento non facile, ecco, non è possibile che un partito così sia rappresentato da un giornale che non è di destra. Ma che, nei modi e nei fatti, è un giornale minoritario, barricadero, militante e sostanzialmente di estrema destra. Un giornale che fa della propaganda la sua cifra stilistica.
Un giornale che, tra l’altro, si è auto-investito di questa rappresentatività. Un giornale il cui direttore, un po’ come San Pietro, si ritiene il custode delle chiavi del Regno (tu entri e tu esci dal Pdl…), e il depositario della Dottrina. Un giornale che, con questa impostazione, non può non invitare allo scontro, con toni da Crociata o da Inquisizione. Un giornale che difende la Lega un giorno sì e l’altro pure, che intervista un’esagitata come Daniela Santanché almeno una volta al mese, quasi che con il suo movimento dello zero virgola possa essere considerata rappresentativa della linea di un grande partito. Un giornale che si diletta nella caccia all’untore, nella delazione del presunto traditore, nella scomunica e – quando serve – nel rogo mediatico degli eretici, o degli “scomodi”. Un giornale che troppo spesso, dal caso Boffo al caso Mussolini, si nutre di insinuazioni e di personalizzazioni.
Un meccanismo che rischia di andare fuori controllo. Una scheggia impazzita. Pagine piene di livore, in questo momento, sono inutili e dannose, per il paese. E anche per il partito (sempre che del partito, a uno come Feltri, interessi qualcosa…).
«L’amore vince sull’odio», ha detto il premier dal letto d’ospedale. E noi siamo assolutamente d’accordo con lui: è la nostra linea. Anzi, vogliamo aggiungere una bella frase di Giacomo Puccini: «Contro tutto e contro tutti fare sempre opera di melodia». Noi ci proviamo, a far vincere l’amore sull’odio. Anche a costo di essere tacciati – cosa che avviene pressoché quotidianamente – di superficialità, di melensaggine, di inutile buonismo.
“Fini è il traditore interno”, “Fini è il traditore interno”, “Fini è il traditore interno”. Eccolo, uno dei mantra feltriani. Ripetuto stucchevolmente, quasi ogni santo giorno. E ritirato fuori anche oggi: la critica alla fiducia sulla Finanziaria? Uno schiaffo a Berlusconi. E via così. Ma non può che sorgere un dubbio (anzi, è un dubbio non nuovo, a essere sinceri): e se il nemico interno, quello che rema contro e che impedisce al Pdl di crescere, di stabilizzarsi, di amalgamarsi e di governare con serenità, fosse proprio lui, il direttore del Giornale, Vittorio Feltri? Il Tempo di oggi racconta che il premier non ha voluto incontrare Feltri in ospedale, “ufficiosamente” per non fare uno sgarbo a Fini. Forse qualcosa sta cambiando. Forse, per tanti nel centrodestra, è arrivato il momento di disintossicarsi, scendere dalle barricate ed entrare nel mondo normale. Un mondo in cui un grande partito come il Pdl non può ogni giorno sparasi in vena fiale d’odio.

16 dicembre 2009

mercoledì 16 dicembre 2009

La mia soddisfazione per il ddl "Lazzati", approvato in Commissione Giustizia


La Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato, con il consenso unanime dei gruppi parlamentari e del Governo, la proposta di legge con le disposizioni concernenti il divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione. Relatrice l’on. Angela NAPOLI (PDL).
Con la proposta approvata che introduce il divieto di propaganda elettorale per il sorvegliato speciale e sanziona, nel contempo, anche la condotta del candidato che consapevolmente si rivolge per la propaganda allo stesso sorvegliato, si recide alle origini e in maniera concreta l’intreccio delinquenza - politica e malaffare, bonificando le Istituzioni.
L’on. Angela NAPOLI si è dichiarata soddisfatta dell’approvazione del provvedimento, per il momento in Commissione Giustizia, e ha inteso ringraziare tutti i gruppi politici ed il Governo per il contributo offerto durante tutta la fase di discussione, nonché quella emendativa, e per aver condiviso unanimemente la necessità di impedire e colpire ogni possibile condizionamento della criminalità organizzata nei confronti del mondo politico.

On. Angela NAPOLI
Componente Commissione Giustizia
Componente Commissione Parlamentare Antimafia

Roma, 16 dicembre 2009

Fondo per la sicurezza: Taurianova (RC) non è un Comune di serie B !

Dalle notizie diramate dal coordinamento regionale del PDL relative alla ripartizione decisa dal Ministero dell’Interno del fondo per la sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico per la Calabria, apprendo che, purtroppo, tra i Comuni della regione interessati al finanziamento, non appare quello di Taurianova (R.C.).
Taurianova è una città con una popolazione superiore ai 15.000 abitanti, il cui Consiglio Comunale è stato il primo in Italia ad essere sciolto per infiltrazione mafiosa e che, ancora oggi, per la seconda volta, è commissariato a causa delle stesse motivazioni.
La Commissione Straordinaria, nel giugno 2009, con nota prot. n. 14621, aveva trasmesso la richiesta di finanziamenti per n. 3 progetti per la realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico.
Mi appare davvero incomprensibile verificare che Taurianova sia stata lasciata fuori dalla ripartizione in questione, anche alla luce del fatto che la Commissione Straordinaria ha ereditato una situazione finanziaria a rischio dissesto.
Peraltro non vanno sottovalutati due recenti episodi che purtroppo evidenziano la pericolosità delle locali organizzazioni criminali; il tentativo di fuga dei due fratelli Zagari e l’omicidio del giovane diciottenne Francesco Inzitari. Episodi gravissimi che non consentono di lasciare i cittadini di Taurianova privi dell’adeguata sicurezza che non può essere garantita solo dalle Forze dell’Ordine.
Protesterò formalmente con il Ministro Maroni, indirizzandogli un interrogazione parlamentare intesa a conoscere i motivi per i quali il Comune di Taurianova, ricadente nel territorio della “famigerata” Piana di Gioia Tauro, debba essere considerato di serie B.

On. Angela NAPOLI
Componente Commissione Parlamentare Antimafia

Roma, 16 dicembre 2009

Interrogazione a risposta scritta

Al Ministro dell’Interno – Per sapere – premesso che:

- recenti notizie di stampa hanno riportato la ripartizione del fondo per la sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico che ha assegnato alla Calabria oltre dieci milioni di euro;

- il Comune di Taurianova (R.C.), la cui popolazione supera le 15.000 unità, è stato il primo in Italia a dovere essere sciolto per infiltrazione mafiosa ed oggi, per la seconda volta, è commissariato per analoga motivazione;

- il Comune di Taurianova risulta escluso dalla ripartizione del Fondo per la realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico, previsto dal comma 18 dell’articolo 61 della legge 133/2008;

- la Commissione Straordinaria del Comune di Taurianova nel giugno 2009 aveva fatto richiesta di finanziamenti, appunto a norma dell’articolo 61 della legge 133/2008, per n. 3 progetti;

- La Commissione Straordinaria ha, tra l’altro, ereditato una situazione comunale a rischio dissesto finanziario;

- la città di Taurianova, che insiste nel territorio della Piana di Gioia Tauro, è stata, ancora nell’ultimo mese, fatta rimbalzare sulle cronache nazionali per due gravi episodi: la tentata fuga dei due fratelli Zagari, condannati all’ergastolo , e l’omicidio del giovane diciottenne Francesco Inzitari:

- quali i motivi che hanno lasciato il Comune di Taurianova fuori dalla ripartizione del fondo per la realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico;

- quali le iniziative di intervento per sopperire a questa grave esclusione della città di Taurianova.

On. Angela NAPOLI

Roma, 16 dicembre 2009

martedì 15 dicembre 2009

La presentazione del libro "The Sixth Family"



MAFIA, LA SFIDA POSSIBILE.
INCONTRO CON ANGELA NAPOLI E FRANCESCO BRUNO

articolo tratto da: www. recensionelibri.org

Intercettazioni ambientali e ruolo dei pentiti. Quanto incidono nelle indagini sui fatti di mafia?
Ne hanno discusso ieri, 14 dicembre, l’onorevole Angela Napoli e il criminologo Francesco Bruno con Enrico Natoli, presidente dell’Associazione Cuntrastamu, all’incontro organizzato presso la Libreria Croce di Roma da Armando Curcio Editore per la presentazione di The Sixth Family. Vito Rizzuto e il collasso della mafia americana, dei giornalisti Adrian Humphreys e Lee Lamothe. I fatti ricostruiti in questo libro-inchiesta, vale a dire la scalata della famiglia Rizzuto e del suo attuale leader ai vertici della malavita americana, culminata con la conquista del mercato mondiale della droga (e, per quanto ci riguarda da vicino, con una pesante ingerenza negli appalti per il ponte sullo Stretto di Messina), hanno dato spunto a un dibattito vivace e attento sugli ultimi sviluppi della lotta alla mafia.
In disaccordo con le più recenti disposizioni di legge che ne limitano l’impiego, infatti, l’onorevole Napoli ha ribadito l’importanza cruciale delle intercettazioni: «Questo fondamentale strumento di indagine consente di scoprire legami e collusioni insospettabili. Al contrario, se ci si concentra soltanto su chi è già in odore di mafia non possono verificarsi progressi determinanti. Chi è al di sopra di ogni sospetto – un politico, un uomo d’affari, chiunque non sia un mafioso conclamato – molto difficilmente può essere raggiunto». A proposito dei pentiti, invece, si è detta dubbiosa: «Il loro contributo può essere decisivo, certo, ma più spesso si tratta di una scelta di convenienza. Chi è stato capace di sciogliere un bambino nell’acido non può in nessun caso e a nessun titolo essere considerato “pentito”».
Sulla stessa linea Francesco Bruno, che ha analizzato le vicende della famiglia Rizzuto, esponente di quella mafia “esportata” che è da sempre il prodotto di punta del made in Italy, evidenziando gli intrecci e le ramificazioni criminali che oggi interessano tutta la Penisola, non solo le regioni che costituiscono la culla storica di Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra. «E il vero dramma è che prima era il mafioso ad aver bisogno del politico per realizzare i suoi progetti. Oggi, sempre più spesso, è il politico ad avere bisogno del mafioso.»

lunedì 14 dicembre 2009

Fermiamo la catena d'odio

L’espressione di dolore ed il volto insanguinato del Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, ha provocato profondo smarrimento in ciascuno di noi.
Nessuno avrebbe immaginato che la rabbia di uno “sconsiderato” potesse sfociare in un atto così inconsulto e grave.
Colpire il Presidente del Consiglio significa lanciare macigni sull’intero Paese e costringere a divulgare anche all’estero immagini di un’Italia carica di conflitti e di odi. Altro che “bel Paese!”.
Dopo lo smarrimento e il dolore, ognuno è chiamato alle proprie responsabilità. Mi sembrerebbe troppo facile pensare che tutto possa concludersi addossando le responsabilità ad uno “psicolabile”.
In qualsiasi Paese democratico la contrapposizione politica è sicuramente lecita, ma la considerazione dell’avversario quale nemico, non è sintomo di civiltà. L’abbattimento di un nemico comporta odio, rancore e conflitto.
Si possono occupare politicamente posizioni opposte, si possono non condividere scelte o comportamenti, ma il sale della democrazia non può che derivare da un confronto leale, a viso aperto, senza ipocrisia alcuna.
A Milano negli ultimi due giorni sono accaduti episodi gravissimi: i fischi ai familiari delle vittime di piazza Fontana e la violenza sul premier Berlusconi. Episodi sintomatici di un clima per nulla sereno che, purtroppo, sta investendo in modo preoccupante tutta l’Italia e che trova terreno fertile in coloro che, privi di valori, si nutrono di odio, vendetta e sangue.
Tutti abbiamo il dovere di aiutare a spegnere il fuoco che qualcuno sta facendo covare sotto la cenere; è un dovere che deve pervadere chi ama l’Italia e chi ne ha a cuore le sorti.

On. Angela Napoli

Roma, 14 dicembre 2009

Piaga Calabrese e connivenze di Palazzo: l'articolo di "Linea"

sabato 5 dicembre 2009

L'encomiabile attività di contrasto alla mafia siciliana

La cattura di Giovanni Nicchi e Gaetano Fidanzati, boss di rilievo di Cosa Nostra, assesta un ulteriore colpo mortale alla mafia siciliana. L’encomiabile attività di contrasto alla cupola di Cosa Nostra, e per la quale voglio esprimere sincero compiacimento alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, è stata sicuramente portata avanti grazie ad un paziente ed importante lavoro di intelligence, supportato dall’approvazione di leggi contro il crimine volute dall’attuale Governo Nazionale.
Va, altresì, dato merito alla società civile siciliana che sta reagendo in modo encomiabile per debellare il cancro di Cosa Nostra.


On. Angela Napoli
Componente Commissione Parlamentare Antimafia

Taurianova, 05 dicembre 2009

venerdì 4 dicembre 2009

L'articolo de "L'Opinione delle Libertà" sul Pdl

Per Berlusconi “nessuna competizione”, la finiana Napoli parla di “segnali”

Nel Pdl scoppia la pace

di Ruggiero Capone
“Nessuna competizione con nessuno”, così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha risposto a chi insisteva nel chiedere se vi fosse una qualche competizione tra lui e Gianfranco Fini. La storia del fuorionda farebbe parte secondo alcuni delle tenzioni preregionali. E non è un mistero che Fini abbia più volte chiesto che alle presidenze regionali fossero candidate persone di specchiata onestà e grande autorevolezza istituzionale. Qualche indiscrezione parla di elogi fatti dal presidente della Camera per la scelta del magistrato antimafia Stefano D’Ambruoso come candidato del Pdl in Puglia e, sempre secondo addetti ai lavori, del rammarico dello Fini sul fatto che in Campania non vi fosse un candidato altrettanto autorevole. Queste considerazioni dimostrerebbero che Fini non ha alcuna voglia d’abbandonare il Cavaliere. “La sinistra di salotto è un anno che tende trappole a Silvio - pensa Gianfranco Rotondi (ministro per l’Attuazione del programma) -. Prima lo ha fatto divorziare da Veronica ed ora ci prova con Fini; ma servono nervi saldi perché abbiamo la responsabilità di guidare il Paese”. Ed intanto qualcuno fa notare come molti ex An stiano sottolineando che “il partito di Fini non può pesare meno della Lega a livello regionale”. I soliti pettegoli di palazzo accrediterebbero la teoria che, se il Carroccio ha spuntato la candidatura alle presidenze di Veneto e Piemonte, l’area degli ex An dovrebbe puntare alle presidenze di Campania, Lazio e Calabria. Ipotesi che scontenterebbe tutti gli ex Forza Italia di Roma e dintorni. Fini potrebbe mediare così: “Nel Lazio candidiamo Renata Polverini, segretaria dell’Ugl e persona vicina ad An, in Calabria ci mettiamo Scopelliti ed in Campania troviamo un magistrato, o persona d’alto profilo, giammai implicabile in alcun tipo d’affare giudiziario ed equidistante da An come da Fi”. Anche Il ministro dell’Agricoltura, Luca Zaia, sposta di fatto il dibattito politico sulle candidature regionali e, parlando di Fini, fa l’esempio a lui più vicino: “quando Bossi e Berlusconi s’incontrano trovano sempre l’accordo”. Come per dire “anche quando Berlusconi incontra Fini trova sempre l’accordo”.
Importante sarebbe oggi per An ottenere nelle candidature regionali uno spazio pari a quello ottenuto dalla Lega? Per raggiungere questo scopo necessita che Nicola Cosentino faccia un passo indietro in Campania, in cambio nessuno voterebbe contro di lui alcuna autorizzazione. “Sono le direttive del Pdl? - dice Angela Napoli (deputata finiana del Pdl) - Ancora un volta è un gruppo dove la libertà dei componenti viene vincolata. Non è affatto un ritorno della disciplina di partito. Disciplina di partito è sottoporre un gruppo ad una linea unica su argomenti governativi. Ma, quando si votano scelte che riguardano la persona, come nel caso di Cosentino, dovrebbe prevalere la libertà di coscienza. La libertà ed il rispetto del senso d’indignazione, che non è pari in ogniuno di noi”. Ma Certe cose Fini le avrebbe dette per chiedere maggior “rigore” nelle scelte regionali? “Certe esternazioni non escludo vengano dette per dire all’amico politico che sarebbero opportune differenti condotte di governo - ribatte Angela Napoli -. Poi, per quanto riguarda le candidature regionali, in Calabria non è ancora stato confermato Scopelliti, altre candidature potrebbero rientrare nell’ambito di una valutazione per le regioni meridionali, Lazio compreso. Non credo questo discorso possa ora adebitarsi al fuorionda, credo nessuno voglia scegliere i candidati a dispetto - sottolinea la deputata -. Certo in Campania un passo indietro sarebbe decoroso. Ma certe scelte dipendono dalla dignità di ciascun politico. In Campania dovrebbero seguire l’esempio pugliese, dove la candidatura di D’Ambruoso cheta non poco tutti i veleni giudiziari. Una candidatura similare in Campania potrebbe mettere a tacere le discordanze a seguito del caso Cosentino. Con D’Ambruoso si punta su persone che hanno una certa storia, al di sopra di ogni sospetto - chiosa la Napoli - vorremmo si seguisse lo stesso metodo ovunque”.

L'articolo di Viterbo Oggi sul convegno "Parole e mafie..."

MAFIA - Aumenta il rischio di infiltrazioni nel Lazio

Viterbo - Edilizia, appalti e smaltimenti rifiuti i settori maggiormente colpiti

Aumenta il rischio di infiltrazioni mafiose nel Lazio. Dopo i casi di Fondi e Nettuno, dove è stata accerta la presenta di alcuni personaggi legati alle organizzazioni criminali all'interno dei Comuni, la possibilità che nel territorio laziale possano verificarsi casi simili è alta. Questo è il dato emerso dal convegno "Parole e mafie. Informazione, silenzi, omertà" nato dalla collaborazione fra la Casa della legalità, l'Osservatorio Regionale sulla sicurezza e Libera Informazione,tenuto oggi, 3 novembre, in Provincia, al quale hanno partecipato Angela Napoli membro del Pdl della commissione parlamentare Antimafia, L'assessore alle politiche sociali e della sicurezza della Regione Lazio, Luigina Di Liegro, Antonio Turri di Libera, Lorenzo Frigerio di Libera Informazione e Vincenzo Boncoraglio della direzione istituzionale enti locali - sicurezza della Regione Lazio.Durante gli interventi, è stato sottolinato il fatto che le organizzazioni criminali in questo periodo si sono raffinate dal punto di vista culturale, ciò ha permesso una maggiore infiltrazione sia nei territori che storicamente non hanno avuto nessun legame con alcun tipo di mafia, sia negli ambiti nei quali è necessario un certo tipo di istruzione, come l'edilizia gli appalti o lo smaltimento dei rifiuti. Il pericolo del Lazio è la cosiddetta "Mafia e cicoria" o "Mafia nostrana" - ha affermato Turri - nata dall'organizzazione in clan di personaggi laziali che intrattengono rapporti con le grandi organizzazioni criminali. Un convegno organizzato anche per sensibilizzare i cittadini e le istituzioni. "Solo con la promozione della cultura della legalità è facile capire e combattere la mafia" - ha affermato la Di Liegro.
Dello stesso parere anche Angela Napoli, da sei anni sotto scorta, la parlamentare ha parlato della sua proposta di cancellazione dell’emendamento che consente la vendita dei beni immobili confiscati alle mafie, in commissione Giustizia che però è stata bocciata. Secondo la Napoli, proprio la confisca dei beni ai mafiosi e il riutilizzo di questi da parte di associazioni e comuni, potrebbe essere alla base della sconfitta delle organizzazioni criminali.
Un lavoro con le istituzione e i cittadini affinchè, Viterbo in questo specifico caso, ma anche tante altre regioni dell'Italia non vengano inquinate dalla mano della mafia.

di Alessandra Pinna

mercoledì 2 dicembre 2009

Il compiacimento per il sequestro dei beni mafiosi a Lamezia Terme

Desidero esprimere sincero compiacimento a tutti gli uomini della Polizia di Stato di Catanzaro ed al Questore Arturo De Felice per l’importante attività di prevenzione effettuata in data odierna con il sequestro dei beni a Vincenzo Perri di Lamezia Terme.
L’ingente valore dei beni sequestrati e la tipologia degli stessi dimostra la potenzialità economica della quale godono le cosche della ‘ndrangheta e i loro affiliati in Calabria.
Peraltro, non va sottovalutato il fatto che queste misure di prevenzione siano state applicate ad un affiliato della ‘ndrangheta di Lamezia Terme, città nella quale le varie cosche criminali hanno sempre gestito ogni tipo di attività illecita proficua per l’incremento del rispettivo impero economico.
Né va sottovalutata l’importanza dell’aggressione ai patrimoni illeciti e dell’utilizzazione degli stessi per scopi sociali, al fine di riuscire ad abbattere la potenzialità della criminalità e la sua invincibilità.

On. Angela NAPOLI
Componente Commissione Parlamentare Antimafia

mercoledì 25 novembre 2009

L'articolo di FareFuturo Web Magazine sui beni mafiosi all'asta

Angela Napoli avverte sul "rischio prestanome". Si vanificherebbero i risultati

I beni dei mafiosi all'asta:
attenti ai tentacoli della piovra...


di Federico Brusadelli

Per “fare cassa” si rischia di perdere un patrimonio molto più importante. Quello della credibilità nella lotta alla mafia. L’avvertimento lo lancia oggi, intervistata dal Secolo d’Italia, Angela Napoli, parlamentare del Popolo della libertà, membro della Commissione antimafia e da sei anni sotto scorta (tanto per dimostrare che, nella guerra alla criminalità organizzata, dice e fa cose “importanti”). Ecco la proposta in questione: mettere all’asta i beni confiscati ai mafiosi. Facile pensare che, come funghi, spunterebbero i prestanome, e i beni tornerebbero nelle mani di Cosa Nostra. Negare la possibilità che ciò accada, dice la deputata, sarebbe «una pia illusione». E, oltretutto, quale privato si comprerebbe, tanto per fare un esempio, la casa di Totò Riina? Non sarebbe un buon affare, in fin dei conti…

Per questo, Angela Napoli ha avanzato la proposta della cancellazione dell’emendamento in Commissione Giustizia. Ma i suoi colleghi l’hanno bocciata. E lei adesso ci riprova, in Commissione Bilancio. Anche perché, al di là del lato “pratico” della questione, c’è un importante aspetto simbolico (tutt’altro che secondario, in uno scontro che anche di simboli si nutre). «Se la villa del mafioso diventasse una caserma, sarebbe un messaggio potentissimo, e rappresenterebbe un monito. È come dire: qui lo Stato ha vinto, qui comanda lo Stato». Sarebbe un segno visibile e concreto dell’avanzata, anche “fisica”, delle istituzioni in un conflitto che, fondamentalmente, si gioca proprio sul controllo del territorio.

Un’idea che lascia quantomeno perplessi, insomma. E dispiace che tale allarme sia rispedito al mittente, quasi con sufficienza. A maggior ragione perché – come ci tiene a sottolineare Napoli – «il governo Berlusconi sta facendo cose importanti nella lotta alla mafia». E il valore e la quantità dei beni confiscati sono aumentati negli ultimi anni: il ministro Maroni ha parlato di immobili sequestrati per più di cinque miliardi di euro.

Proprio il titolare del Viminale ha voluto tranquillizzare quanti sollevano questi timori. A vigilare sulla regolarità delle aste, e a certificare la distanza dei compratori dal mondo della criminalità organizzata, sarebbero i prefetti. Ma non basta a rassicurare l’onorevole Napoli, che ribatte: «Senza nulla togliere alla serietà dell’organismo di controllo, si tratta di paletti facilmente aggirabili: basta «un prestanome incensurato ad assicurarsi l’asta» E se a questo si aggiunge che «una delle attività preferite per il riciclaggio del denaro sporco sono le aste dei tribunali fallimentari», si capisce che il rischio che, attraverso qualche tentacolo più o meno visibile, la mafia rientri in possesso di ciò che le è stato tolto, c’è. E, purtroppo, è un rischio troppo concreto per permettersi di rischiare.


25 novembre 2009

L'intervista al Secolo d'Italia sui beni mafiosi all'asta

«Così basta un prestanome e la villa torna al boss»

Angela Napoli: sui beni confiscati rischiamo di vanificare il buon lavoro del governo

Valter Delle Donne
Roma. «Scusi, ma lei se la comprerebbe una casa che è stata confiscata a Totò Riina?». Angela Napoli, membro Pdl della commissione parlamentare Antimafia, da sei anni sotto scorta, cerca di rendere l'idea di quanto sia controproducente l'emendamento alla Finanziaria sui beni confiscati alla mafia da mettere all'asta. La misura consente la vendita dei beni confiscati, qualora gli stessi non vengano assegnati entro il termine di novanta giorni. L'ex magistrato, già parlamentare di An, è convinta che se la norma diventasse legge, «i beni dei mafiosi tornerebbero ai mafiosi, nonostante quello che sostengono i miei colleghi del governo e della maggioranza». Napoli ha appena incassato a Montecitorio il no in commissione Giustizia alla cancellazione dell'emendamento del governo, ma non si dà per vinta: «Lo ripresento in commissione Bilancio, non è possibile che non si rendano conto...»
Onorevole Napoli, su questo emendamento il governo esclude la possibilità che i beni sequestrati ai mafiosi tornino a loro. Viene specificato che vengono previsti una serie di controlli. Si passa anche per il placet del prefetto.
Tutto vero, sulla carta, ma purtroppo chi conosce le potenzialità della criminalità organizzata sa che sono paletti facilmente aggirabili. Nulla toglie alla serietà dell'organismo di controllo che è la Prefettura, ma è una pia illusione pensare che la mafia non si impadronisca del bene.
In che senso?
Basta un prestanome, incensurato, ad assicurarsi l'asta. Se lei pensa che una delle attività preferite per il riciclaggio del denaro sporco sono le aste dei tribunali fallimentari capisce, certamente, che non sarà un certificato antimafia a spaventare il mafioso di turno.
E quindi, secondo lei, se passa la legge che succede?
Che il bene messo all'asta non verrà acquistato da un privato cittadino, perché chi andrebbe ad abitare in una casa di un mafioso?
Andiamo avanti, non la compra il cittadino, quindi?
Quindi se la ricompra lo stesso mafioso attraverso un prestanome.
Però la spiegazione del governo è che il bene confiscato viene messo all'asta perché spesso è un rudere inutilizzabile dallo Stato...
Io dico: se si tratta di un rudere e se costa troppo ristrutturarlo, allora si provveda a demolirlo, ma non mettiamo in condizione il mafioso di rientrarne in possesso.
Le rispondo sempre con le spiegazioni fornite dal Viminale. I proventi delle vendite dei beni saranno impiegati per le forze dell'ordine e per la macchina della giustizia, quindi sempre contro la criminalità organizzata.
Capisco la necessità di far cassa al ministero della Giustizia e dell'Interno ma non si può accettare di far cassa con i soldi della criminalità organizzata. E poi questo non è un ragionamento da politico ma da contabile. Vado oltre: un mafioso preferisce prendere qualche anno di galera in più alla possibilità che gli venga confiscata la villa dove vive la sua famiglia. E poi, vuoi mettere l'efficacia del messaggio?
Intende l'eventualità che la villa del mafioso diventi una caserma dei carabinieri?
È un messaggio potentissimo, che rappresenta un monito. È come dire: qui lo Stato ha vinto, qui comanda lo Stato.
Invece, secondo lei, se passa l'emendamento alla Finanziaria?
L'immobile o il terreno, sia anche un rudere in disfacimento o un terreno incolto, torna alla prima occasione in mano al mafioso, attraverso una persona incensurata. Lo Stato non può fare niente. E il monito per i cittadini è esattamente il contrario. Come a ricordare: qui lo Stato ha perso.
Un quadro un po' catastrofista, non crede?
No, anzi. Quello che più mi dispiace è che chi cerca di portare avanti determinate battaglie viene quasi guardato a vista come un appestato. Eppure il governo Berlusconi sta facendo cose importanti nella lotta alla mafia. I beni confiscati sono aumentati. Lo ricordava in queste ore lo stesso ministro Maroni al vertice internazione a Venezia con gli altri ministri dell'Interno del Mediterraneo. Ricordo che nel cosiddetto "pacchetto sicurezza" del luglio scorso c'è una misura che favorisce il sequestro dei beni illeciti e rende più rapidi i tempi per il loro affidamento. Ma a questo punto un emendamento di questo genere vanifica la bontà del lavoro prodotto finora.
25/11/2009

I provvedimenti del Governo per gli ergastolani che hanno ferito due Agenti di Polizia Penitenziaria

Ai Ministri della Giustizia e dell’Interno:

Per sapere – premesso che:

- nella giornata di ieri due ergastolani, Giuseppe e Pasquale Zagari di Taurianova (R.C.), Comune sciolto per ben due volte per infiltrazione mafiosa, hanno tentato l’evasione durante la loro traduzione dal carcere di Palmi al Tribunale Misure di Prevenzione di Reggio Calabria per un udienza a loro carico;

- solo il coraggio e il valido intervento dei quattro Agenti della Polizia Penitenziaria, due dei quali sono rimasti feriti, hanno evitato il peggio ed hanno fatto fallire il piano di fuga dei due pericolosi ergastolani;

- durante il trasferimento da Palmi a Reggio Calabria a bordo dell’autoblindo, nel tratto autostradale Palmi – Sant’Elia, uno dei due detenuti Giuseppe, ha chiesto aiuto agli Agenti paventando un finto malore del detenuto Pasquale ed appena aperta la porta della celletta interna al furgone, i due ergastolani hanno iniziato a sparare e ferito gli Agenti, i quali nonostante il ferimento subìto sono riusciti ugualmente a bloccare i due detenuti;

- i due detenuti Giuseppe e Pasquale Zagari, sono fratelli ed importanti elementi dell’omonima cosca della ‘ndrangheta di Taurianova ed hanno, altresì, una sorella fidanzata con il latitante Ernesto Fazzalari, anche lui di Taurianova e ricercato dal 1992;

- i due fratelli Giuseppe e Pasquale Zagari, condannati all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidio e altri delitti, sono stati responsabili di una guerra tra due cosche taurianovesi, Avignone – Zagari – Viola e Asciutto – Grimaldi – Neri, che negli anni tra il 1988 e il 1991 hanno portato a ben 20 omicidi e 10 tentati omicidi e che ha fatto rimbalzare sulle cronache nazionali l’intera Città di Taurianova per aver portato nel 1991 all’omicidio di Rocco Zagari, padre di Giuseppe e Pasquale, ed ex consigliere comunale della DC e nel giorno successivo di altre tre persone, ad una delle quali è stata staccata la testa dal tronco a fucilate;

- i due ergastolani Giuseppe e Pasquale Zagari, detenuti presso il carcere di Voghera (Liguria), sarebbero giunti presso il carcere di Palmi (R.C.) sabato scorso e, lo scorso mese, sarebbero stati accompagnati a casa della madre, a Taurianova, quale premio per la “buona condotta” tenuta durante la detenzione;

- a parere dell’interrogante sembra assurdo continuare a premiare per “buona condotta” detenuti, quali i fratelli Zagari, che hanno alle spalle un curriculum criminale tale ad averli portati all’inflizione dell’ergastolo;

- ma sicuramente appare preoccupante ed assurdo che i due ergastolani Zagari fossero, a bordo dell’autoblindato penitenziario, in possesso di due pistole calibro 6,35:

- se non ritengano di dover fare avviare la procedura per sottoporre i due ergastolani Zagari all’applicazione del regime del 41 bis ;

- se non ritengano di dover informare il Parlamento su come i due detenuti siano riusciti ad entrare in possesso di ben due pistole calibro 6,35;

- se non ritengano di dover rivisitare la norma ed il sistema di benefici di cui godono i detenuti per la cd. “buona condotta”;

- se non ritengano, infine di poter incoraggiare all’uso delle video conferenze per le fasi processuali che riguardano in particolare i detenuti condannati per associazione mafiosa.

On. Angela NAPOLI

Roma, 25 novembre 2009

venerdì 20 novembre 2009

Necessario e urgente presidiare i lavori dell'Autostrada A3

Ai Ministri dell’Interno, del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Difesa:

- per sapere – premesso che:


- l’interrogante già con precedenti atti ispettivi, rimasti a tutt’oggi privi di risposta, ha denunziato la preoccupante escalation di atti intimidatori attuati nei confronti delle Imprese e degli operai che lavorano nei cantieri dell’Autostrada Salerno - Reggio Calabria;

- dalle varie inchieste giudiziarie, avviate negli anni, sono sempre emersi gli interessi delle cosche della ‘ndrangheta, vibonesi e reggine, sui lavori di ammodernamento dell’autostrada SA-RC;

- peraltro dalla relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, riguardante il secondo semestre del 2008 emerge che l’area a rischio in cui si proiettano le capacità imprenditoriali della ‘ndrangheta sono le costruzioni: in particolare, i lavori stradali, soprattutto quelli di ammodernamento dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria;

- i clan mafiosi calabresi si sarebbero ripartiti per territorio il controllo dei lavori in questione e nonostante le attività di indagine messe in atto dalla Magistratura inquirente ed i sistemi di vigilanza, gli operai continuano a subire atti intimidatori sempre più gravi che mettono a rischio la loro sicurezza, ma anche quella delle singole imprese appaltanti;

- l’ennesimo grave e preoccupante atto intimidatorio è stato perpetrato, nei giorni scorsi, a danno di sette operai che stanno lavorando in un cantiere della S.C.L. Costruzioni e montaggio s.r.l. A3 vicino a Scilla (R.C.);

- gli operai sono stati aggrediti e costretti ad abbandonare il cantiere da due uomini incappucciati e con le armi in pugno;

- la ditta presso la quale lavorano gli operai intimiditi ha iniziato l’attività da pochissimo tempo;

- proprio lo scorso anno , altri due banditi mascherati avevano aggredito e minacciato con lupare quattro operai che stavano lavorando per il rifacimento dell’autostrada A3 a qualche chilometro precedente a quello dove è stato attuato il nuovo gesto intimidatorio;

- le gravi pressioni, altre a preoccupare gli operai tutti, stanno incoraggiando le imprese aggiudicatarie dei lavori ad abbandonare la Calabria:

- se non ritengano necessario ed urgente far presidiare da un congruo numero di militari dell’esercito i cantieri autostradali al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori;

- quali urgenti iniziative intendano assumere per garantire la prosecuzione dei lavori di ammodernamento della Salerno – Reggio Calabria nel tratto reggino;

- quali urgenti iniziative intendano assumere per avviare un’adeguata normativa utile a garantire la pubblica amministrazione in tema di prevenzione dei fenomeni di infiltrazione mafiosa negli appalti.

On. Angela Napoli

mercoledì 18 novembre 2009

Inconcepibile la vendita dei beni confiscati alla mafia

Le misure di prevenzione patrimoniali hanno rappresentato una delle più efficaci attività di contrasto alle mafie. Colpire gli interessi economici e le ricchezze delle mafie, acquisti con i traffici illeciti, è stata ritenuta importante attività di prevenzione che ha sempre inciso negativamente sullo stesso “essere” uomo di mafia.
Anche il Governo nazionale con il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, legge n. 94/2009, ha inteso favorire il sequestro dei beni illeciti e rendere più rapidi i tempi per il loro affidamento. Mi appare, quindi, davvero inconcepibile l’assenso, dato al Senato, all’introduzione nella legge finanziaria dell’emendamento che consente la vendita dei beni confiscati, qualora gli stessi non verrebbero assegnati entro il termine di 90 giorni.
Conosciamo tutti quanto imponente sia il potere finanziario di ogni cosca mafiosa e sarebbe sicuramente “pia illusione” pensare che i criminali non riuscirebbero a riappropriarsi della loro illiceità, anche attraverso prestanomi vari.
Coloro che hanno proposto l’emendamento in questione e coloro che lo hanno successivamente votato si sono per caso documentati sull’entità del patrimonio attualmente confiscato alla mafia e non ancora assegnato? Hanno quindi valutato l’entità economica che rischierebbe di essere apportata alle singole cosche mafiose? O sono davvero convinti che un solo controllo, per quanto adeguato, riuscirebbe a bloccare la sete di riappropriamento del mal tolto?

On. Angela NAPOLI
Componente Commissione Nazionale Antimafia

domenica 15 novembre 2009

L'articolo di Giornalettismo.com


Non era solo uno scambio di battute quello tra finiani e sottosegretario all’Economia. L’onorevole Napoli ha chiesto l’accelerazione dell’iter di un ddl bipartizan che prevede fino a 5 anni di carcere per i politici che usano i voti della criminalità organizzata in cambio di favori.

Se Nicola Cosentino riceve da parte del presidente Berlusconi il via libera alla sua candidatura per la guida della Regione Campania, vuol dire che inevitabilmente a dover fare un passo indietro sono solo ed esclusivamente gli ex An come il Presidente della Camera Gianfranco Fini e il fido Italo Bocchino, che avevano ripetutamente nei giorni scorsi chiesto al Sottosegretario all’Economia la rinuncia alla competizione del prossimo marzo. Cosentino non aveva risparmiato stoccate ai compagni di partito ostili alla sua scalata: “Fra le cose che mi hanno molto amareggiato – rispondeva a Bocchino nell’intervista al Giornale di ieri – una riguarda il suo giornale (il “Roma”, ndr) che ha seguito l’inchiesta molto da vicino, rivelando dettagli coperti dal segreto istruttorio che i miei avvocati nemmeno conoscevano. Il Roma sembrava il Fatto di Travaglio…”. E rivendicava i suoi meriti nella gestione del Pdl: “E’ stata dura ripartire nel 2005 quando perdemmo malamente con un candidato (Bocchino, ndr) che dopo tre mesi abbandonò la guida dell’opposizione dicendo: “Qui non c’è niente da fare, questo sistema non lo abbatteremo mai”. E invece con Landolfi, con Cesaro e altri, piano piano l’abbiamo buttato giù il sistema”.

UN ITER SCORRETTO – Uno scontro, quello tra ex An e il coordinatore campano del Pdl, che aveva raggiunto l’apice con la richiesta di accelerazione dell’iter di un ddl inerente il “divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione”. A sottolineare la necessità di nuove norme è stata la deputata Angela Napoli, prima firmataria della proposta, solo una settimana fa proprio da Bocchino in persona elogiata, in diretta televisiva ad Annozero, per il suo operato in Commissione Giustizia e in Commissione Antimafia. “Io sto ad Angela Napoli, come tu a Di Pietro”, faceva sapere Bocchino rivolgendosi a De Magistris, presente con lui in studio, per marcare l’unità di intenti con la collega sul tema giustizia e sulle misure da adottare nei confronti della criminalità. “Proporrò che si arrivi ad un’approvazione della legge prima delle prossime elezioni, perchè credo che anche i partiti vadano responsabilizzati nella scelta delle candidature”, ha fatto sapere la Napoli sponsorizzando il testo al vaglio della Commissione e frutto della sintesi di cinque diversi progetti di legge presentati dalla stessa Angela Napoli, da Sabina Rossa e Nicodemo Olivero del Pd, da Roberto Occhiuto dell’Udc e dall’ex Idv (ora gruppo Misto) Aurelio Misiti.

UN PROGETTO DI LEGGE – Il progetto di legge, fa sapere l’agenzia Dire, si compone di tre articoli e modifica la legge n. 575 del 31 maggio 1965, che contiene disposizioni contro la mafia. Innanzitutto, viene aggiunto un ulteriore comma (il 5-quater) all’articolo 10 della legge del ‘65, che elenca una serie di divieti per le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione. In particolare, all’articolo 2 si precisa che “il sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza” che, sospettato di essere un affiliato o un colluso di mafia, camorra, ‘ndrangheta o qualunque altra organizzazione criminale, “propone o accetta di svolgere attività di propaganda elettorale, e il candidato che la richiede o la sollecita, sono puniti con la reclusione da due a cinque anni”.

UN PROBLEMA NELLA MAGGIORANZA? - Insomma, sarebbe interessante sapere oggi come intendono porsi nei confronti di questa proposta bipartizan tutti coloro, i berlusconiani di ferro alla Ghedini ad esempio, che lottano strenuamente per l’approvazione del processo breve e la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Anche questa iniziativa verrà bollata come possibile responsabile di un ulteriore squilibrio di poteri tra politica e magistratura? Molti lo farebbero senza esitazione. Ma la finiana Angela Napoli sulla posizione da assumere nei confronti di norme che prevedono il carcere fino a 5 anni per i politici che usano i voti della criminalità organizzata in cambio di favori e la decadenza da ogni incarico e l’ineleggibilità fino a un massimo di 10 anni, non ha dubbi e ripete grossomodo quanto affermato da Fini a Che tempo che fa: “Credo ci sia urgenza di queste norme – dice – I partiti, sia di destra che di sinistra, devono guardare con attenzione alle scelte dei candidati puntando più sulla qualità che sul numero dei consensi che queste persone possono portare”. La parola, ora, passa a Cosentino e soci

giovedì 12 novembre 2009

Nave dei veleni L'Espresso - L'intervista

Quei veleni top secret
di Riccardo Bocca
Il governo cerca di nascondere la verità sull'inchiesta. L'accusa della parlamentare Pdl dell'Antimafia.
Colloquio con Angela Napoli

Angela Napoli, membro Pdl della commissione parlamentare Antimafia, lo dice apertamente:"Il governo sta cercando di nascondere la verità sulle navi dei veleni, e su quella di Cetraro in particolare. Si vogliono coprire segreti di Stato, e la strada scelta è quella del silenzio. O peggio ancora, di dichiarazioni che non stanno in piedi". Parole che arrivano dopo giornate intense. La settimana scorsa Pippo Arena, il pilota del congegno sottomarino che il 12 settembre aveva filmato la nave sui fondali calabresi, ha dichiarato a "L'espresso" che "due stive erano completamente piene". Poi è stato il turno del ministero dell'Ambiente, che ha pubblicato on line le immagini girate a fine ottobre su quello che ha presentato come il piroscafo Catania. Infine è spuntata, tra politici e ambientalisti, l'ipotesi che nel mare di Cetraro ci siano non uno, ma più relitti. "Il che potrebbe giustificare la fretta di voltare pagina del ministro dell'Ambiente", dice l'onorevole Napoli.

Un'accusa pesante, la sua: su cosa si basa?
"Penso, per esempio, a cosa è successo il 27 ottobre quando è stato ascoltato dalla commissione Antimafia il procuratore nazionale Piero Grasso. Appena gli ho posto domande vere, scomode, il presidente della commissione Beppe Pisanu ha secretato la seduta...".

Si può sapere, nei limiti del lecito, quali argomenti toccavano le sue domande?
"Chiedevo chiarezza sul ruolo dei servizi segreti in questa vicenda. Domandavo come potesse il pentito Francesco Fonti, che non è della zona, indicare il punto dove si autoaccusa di avere affondato una nave, e farlo effettivamente coincidere con il ritrovamento di un relitto. Volevo che superassimo le ipocrisie, insomma. Anche riguardo al memoriale del pentito, che è stato custodito per quattro anni, dal 2005, nei cassetti della Direzione nazionale antimafia senza che nessuno facesse verifiche".

Il ministero dell'Ambiente ha pubblicato sul suo sito le riprese della nave affondata a Cetraro. Non basta?
«Può bastare un filmino in bassa risoluzione che, quando clicchi, si apre su YouTube? Non scherziamo. E aggiungo: poniamo anche che le stive risultino vuote. Dov?è finito il carico visto dal pilota il 12 settembre?». Un dato è certo: alle 12,56 del 27 ottobre, il ministro Prestigiacomo ha detto che il robot aveva già svolto «le misurazioni e i rilievi fotografici del relitto».

Ed è stata smentita due volte: alle 13,12 dello stesso giorno dalla società Geolab che svolgeva il lavoro («Abbiamo fatto solo rilievi acustici»); poi in diretta a Sky da Federico Crescenti, responsabile del Reparto ambientale marino delle capitanerie di porto, il quale ha spiegato che le operazioni in acqua del robot sono iniziate la sera del 27.
«Dico di più. Sempre il 27 ottobre, la direzione marittima di Reggio Calabria ha trasmesso alla commissione Antimafia una mappa con i punti di affondamento di 44 navi lungo le coste italiane. Guarda caso, in Calabria ci sono nove croci senza nome...».

Rilancerà questo elemento in commissione Antimafia?
«Certo. Ma è difficile che un governo smascheri ciò che un altro governo ha occultato. C?è l?interesse bipartisan ad andare oltre, a dimenticare che il pentito Fonti parla di legami con ex democristiani e socialisti ancora attivi. Ricordiamo che il sottosegretario agli Esteri, in questo governo, fa di nome Stefania e di cognome Craxi».

Quindi?
«Basta con i segreti. Il governo vuole chiudere il caso Cetraro? Renda pubbliche le immagini satellitari dei traffici avvenuti nei mari italiani tra gli anni Ottanta e Novanta. La verità c'è già: basta avere voglia di vederla».

(11 novembre 2009)

mercoledì 4 novembre 2009

Il sequestro dei beni all'ex consigliere regionale Crea e le candidature delle prossime elezioni

L’operazione della DDA di Reggio Calabria, condotta dal Comando Provinciale dei Carabinieri, che questa mattina ha portato all’ingente sequestro dei beni di proprietà dell’ex consigliere regionale Domenico Crea e dei suoi familiari, comprova gli interessi e le collusioni che ‘ndrangheta ed alcuni ambienti politici hanno nel settore della Sanità calabrese.
Le indagini relative all’inchiesta “Onorata sanità” , nella quale è rimasto coinvolto Domenico Crea, dimostrano, altresì, quanto ancora in Calabria risulti rilevante il peso elettorale delle varie cosche mafiose e come queste riescano a far eleggere persone disponibili a cogestire affari ed interessi.
Ritengo che le risultanze delle indagini che hanno portato all’odierno intervento di prevenzione e che partono dalla campagna elettorale per le regionali calabresi del 2005, debbano essere adeguatamente tenute in considerazione dai partiti politici tutti, oggi più che mai allorché la nostra Regione si avvia alla nuova consultazione del 2010, al fine di un’ oculata valutazione delle candidature. Così come il Parlamento dovrebbe accelerare l’iter per la conversione in legge della proposta relativa al divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.

On. Angela NAPOLI
Componente Commissione Nazionale Antimafia

martedì 3 novembre 2009

Le navi dei veleni e l'inquinamento ambientale in Calabria

Il problema dell’inquinamento ambientale della Calabria ha sempre destato in me grandi inquietudini e perplessità su come lo stesso sia stato continuamente affrontato. Inquietudini e perplessità che oggi più che mai, alla luce delle ultime vicende delle navi dei veleni, sono diventate non più sopportabili. Ed allora ho deciso di spogliarmi momentaneamente delle vesti di politico e di assumere i panni di normale cittadina che vive in quella martoriata terra. E’ poiché con tali vesti non intendo patteggiare né per i Governi nazionale o regionale, né per questo o quel Magistrato, più che mai per un collaboratore piuttosto che per qualsiasi trafficante o faccendiere, sento la necessità di porre alcune domande per vedere se qualcuno è in grado di darmi le relative risposte.
Premetto che parto dalla certezza che la ‘ndrangheta, come la camorra, trae grandi profitti dal settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani e tossici e che per poter praticare tale illecita attività deve trovare complicità in ambienti istituzionali di varia natura.
Ma ritorniamo alle navi dei veleni e prima di potermi sentire tranquilla sull’esito delle relative indagini, gradirei sapere se c’è stata attività, ed in caso affermativo le relative risultanze, dopo la deposizione nel 2005 presso la DNA del memoriale del collaboratore Fonti. Se e chi ha avuto la possibilità di comparare le immagini realizzate dalla Geolab con quelle della Copernaut. Perché nelle fasi di accertamenti non vi è stata reciproca collaborazione tra Governi nazionale e regionale. Perché la Magistratura competente non ha provveduto a sequestrare i relitti reperiti al fine di accertare l’identità e l’eventuale uguaglianza degli stessi. Chi può garantire che a largo delle coste calabresi non giacciano navi affondate dalla ‘ndrangheta e contenenti rifiuti radioattivi. Chi mi garantisce che le morti del Capitano Natale De Grazia e della giornalista Ilaria Alpi non siano avvenute perché entrambi vicini alla scoperta di verità . Perché le indagini nel merito finiscono ogni volta che le stesse passano per competenza dalle Procure ordinarie alle DDA. Perché a distanza di anni qualcuno tenta di riavviare le indagini e qualcun altro fa si che le stesse vengano immediatamente chiuse.
Sarò sicuramente una cittadina sospettosa, ma se non mi verranno date esaustive risposte, non potrò che desumere che in questo settore, oltre agli interessi della ‘ndrangheta ci sono anche quelli di ben altri ambienti, la cui natura potrà essere identificata da ogni cittadino in chi riterrà più opportuno.

On. Angela NAPOLI
Componente Commissione parlamentare antimafia

Roma, 3 novembre 2009

martedì 27 ottobre 2009

L'interpellanza sullo sviluppo del Porto di Gioia Tauro

La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro delle infrastrutture dei trasporti e il Ministro per i rapporti con le regioni: per sapere - premesso che:

- il Porto di Gioia Tauro, che avrebbe dovuto rappresentare il volano dello sviluppo dell'intera Calabria, rimane ancorato alla sola attività di transhipment, anche se la stessa sta evidenziando altalenanti fasi positive e negative;

- la gestione del Porto di Gioia Tauro è stata sempre organizzata in un quadro di incertezze che non hanno consentito l'effettuazione della polifunzionalità del Porto stesso: ritardi nei finanziamenti, scarsa attenzione sulla rivalità nata da parte di altri porti italiani e mediterranei, lentezza nel completamento delle infrastrutture portuali, marginalità dell'obiettivo della polifunzionalità, mancanza dell'istituzione di una zona franca produttiva;

- fin dal dicembre del 1997, già Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi, con la presentazione delle linee-guida del «famigerato» master plan del Porto di Gioia Tauro, era divenuta del tutto marginale la relativa polifunzionalità, anzi era apparsa chiara la volontà di capovolgere la polifunzionalità completa, affermata nel protocollo d'intesa; - nel marzo del 1998, l'allora ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, ha supportato il veto, espresso nel luglio 1996, dalle organizzazioni sindacali confederali circa l'ipotesi d’istituzione di zone franche nel sud, comunicando l'approvazione di ben quattro punti franchi doganali in Sardegna e non nel Porto di Gioia Tauro;

- sempre sotto la Presidenza del Consiglio del professor Romano Prodi, nel 1996 era già stato nominato un inutile coordinamento del Porto di Gioia Tauro, affidato al Sottosegretario di Stato ai Trasporti dell'epoca;

- ancora in questa legislatura la Regione Calabria ha assunto comportamenti che l'interpellante giudica equivoci nei confronti del Porto di Gioia Tauro; nonostante l'anomala nomina di un sottosegretario regionale con apposita delega per quell'area portuale, nonché la nomina di un Commissario Straordinario per l’elaborazione di un piano di sviluppo strategico per l’area ampia sempre di Gioia Tauro è riscontrabile una inefficiente ed equivoca programmazione per rilanciare le potenzialità del Porto stesso e del relativo retroporto;

- la legge finanziaria del 2007 aveva introdotto l'autonomia finanziaria delle Autorità portuali, senza creare alcun beneficio per Gioia Tauro, visto che oltre il 94 per cento delle merci che transitano per quel Porto non toccano terra e che le banchine esistenti sono quasi tutte concesse alla Medcenter e alla Blg;

- sempre la legge finanziaria del 2007 aveva autorizzato un contributo di 50 milioni di euro per il 2008 per lo sviluppo del Porto di Gioia Tauro;
- la stessa Trenitalia continua a far lievitare il costo della intermodalità mare – ferro, mettendo in discussione accordi commerciali sottoscritti soltanto alcuni mesi fa, e triplicando la circolazione dei mezzi pesanti sulle strade calabresi, sufficientemente penalizzate dai cantieri, sulla Autostrada Salerno – Reggio Calabria;
- solo l’istituzione di una “zona franca” nel Porto di Gioia Tauro avrebbe rappresentato uno strumento capace di creare sviluppo in sinergia con attività portuali e di Transphiment;
- ma dai quotidiani regionali degli ultimi giorni si apprende che nell’ambito delle entrate in vigore delle 22 zone franche urbane italiane, la Regione Calabria non avrebbe fatto inserire proprio quella di Gioia Tauro, propendendo per altre zone calabresi e finendo così con l’ agevolare zone del territorio regionale sicuramente meno disagiate di quelle della Piana di Gioia Tauro;
- all’interpellante appaiono davvero non più accettabili la disattenzione e le equivocità che fino ad oggi sono ruotate attorno al Porto di Gioia Tauro , nonché la mancanza di adeguati interventi utili a far rappresentare quel Porto quale volano per lo sviluppo dell’intera Calabria:

- quali gli interventi per scongiurare che le scelte della politica nazionale e regionale non provochino il definitivo abbandono della possibile polifunzionalità del Porto di Gioia Tauro ed il decremento dell’attuale attività di transhipment, con il conseguente crollo dell’ attività occupazionale, esistente in una zona del territorio calabrese, sufficientemente intaccata dall’alto tasso di disoccupazione e dalla preoccupante pervasività delle cosche della ‘ndrangheta.

On. Angela NAPOLI

Roma, 27 ottobre 2009

Pierpaolo Bruni e Marisa Manzini: il post di Roberto Galullo dal blog de Il Sole 24 ore

Storie parallele in Calabria: i due Bruni e pool antimafia a pezzi ma... per fortuna si vola con Wim Wenders!

C’è Bruni e Bruni. E non pensate a Carla. Lei in questa storia non c’entra.
Eh sì perché la Calabria e l’Italia onesta sanno a malapena che a un Bruni - il Pm Pierpaolo – stanno facendo da anni terra bruciata intorno mentre sono informate a pioggia che un altro Bruni – Gaetano Ottavio, ex mitico presidente della Provincia di Vibo Valentia – è stato scelto come capo di gabinetto dal Governatore della Regione Calabria, Loiero Agazio.
C’è Bruni e Bruni, dicevamo. Pierpaolo è obbligato (dallo Stato) a mollare la presa sulla ‘ndrangheta ed è stato isolato dallo stesso Stato, che se ne fotte tre quarti della sua vita a rischio. Gaetano Ottavio è indagato per il disastro che nel 2006 a Vibo, causa alluvione, si portò via la vita di tre persone. Ma viene fatto sedere alla destra del…governatore.

PIERPAOLO BRUNI TROVA ACCANTO SINDACATI DI POLIZIA,
UN PUGNO DI CITTADINI E SOLO L’ONOREVOLE NAPOLI

Partiamo da Pierpaolo che, come un fabbro mantovano, continua a pestare duro su cosche, massoneria deviata e malapolitica (sono sinonimi tra loro).
Le sue ultimissime indagini hanno portato alla luce l’ennesimo inquietante episodio di “grande fratello telefonico” pronto secondo l’accusa ad ascoltare tutto, depistare le indagini e arricchire la potenza di quella che l’ex Pm Luigi De Magistris chiamava (e io con lui) la “nuova P2” (si veda, da ultimo, il “Fatto quotidiano” del 16 ottobre e i miei tanti articoli dedicati sul Sole-24 Ore all’argomento, oltre alle puntate su Radio24 nella mia trasmissione “Un abuso al giorno” e ai post su questo blog il 9 febbraio, l’11 febbraio e il 23 luglio 2009). Molto, ma molto più potente della gabbia di affaristi architettata dal grande muratore Licio Gelli.
Un pm che non si arresta neppure di fronte al coinvolgimento di politici e personaggi deviati delle Istituzioni, che va per questo motivo a scovare fuori regione (si veda il mio articolo sul “Sole-24 Ore” del 16 ottobre)
Bene, a questo Pm, da fine aprile 2009, non è stata rinnovata l’applicazione alla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catanzaro.
In una regione e in un Paese civile – visto che le cosche hanno progettato di farlo fuori con lanciarazzi, bazooka ed esplosivo – tutti gli uomini onesti si sarebbero alzati come un sol Uomo con un solo scudo e avrebbero gridato: “Giù le mani dal valoroso pm”.
E invece? E invece in Calabria e in Italia gli Uomini sono pochi, lo scudo è solo fiscale e il silenzio è di piombo, come quello che politici collusi, massoni deviati e ‘ndrine non vedono l’ora di piazzare nella testa di Bruni.
Resistenza civile di un centinaio di crotonesi e un’interrogazione – isolata – dell’onorevole di destra Angela Napoli, che l’ha presentata il 7 maggio 2009 al ministro della Giustizia Angelino Alfano. Tutto qui. Nulla più di questo dalla Calabria che si indigna contro Antonello Venditti (che ha avuto, per quanto mi riguarda, il pregio di aver detto la verità, come ho scritto nel post del 9 ottobre).
Credete che Alfano abbia risposto? Ma va la…Mi consenta: ha cose ben più importanti da fare, cribbio…
In compenso a Crotone, da Bruni, sono arrivati gli ispettori ministeriali e sulla loro recente visita non si sa assolutamente nulla.
La situazione è esplosiva al punto che l’8 settembre i sindacati provinciali della Polizia di Stato si sono rivolti per l’ennesima volta alle Istituzioni e alla magistratura per capire che fine farà un procuratore che non sta solo mettendo alla gogna (cosa per loro infinitamente meno sopportabile della galera) criminali e imprenditori mafiosi (con i loro portafogli gonfi di milioni), ma sta soprattutto sta scavando sui rapporti tra “politica mafiosa” e “mafia politica”.

IL NODO DELLA POLITICA: LE DICHIARAZIONI DI LOIERO AGAZIO

E proprio qui sta il nodo.
Bruni – senza una sollevazione della società civile regionale e della Politica nazionale (ammesso che esista ed infatti avrete notato che l’ho scritto con la P maiuscola) è destinato a rammendare nel futuro prossimo le toppe delle inchieste che gli affideranno, auspicabilmente sempre più lontane dagli intrecci mafia-politica.
Del resto molti di voi sapranno che Bruni – per un periodo - si occupò anche di Why Not (si vedano su questo blog i post che richiamano le attività del magistrato del 24/10/2008, dell’11/, del 23/6, del 17/7, del 23/7 e del 29/7 2009).
Ebbene Loiero Agazio, “nonno Agazio” come lo ha descritto la Gazzetta del Sud in un’indimenticabile e imperdibile intervista dell’8 luglio (si veda da ultimo il mio post del 9 ottobre sull’argomento), sempre prodigo, come vedremo, di amorevoli slanci per gli amici della stessa famiglia, ecco come si pronunciò nei confronti del Pm Pierpaolo Bruni il 6 febbraio 2008 con un tempestivo comunicato stampa ancora oggi godibile (http://www.regione.calabria.it/) :
''Stamattina, intorno alle 7, una decina di carabinieri si sono presentati nella mia casa di Roma con un decreto di perquisizione. Contemporaneamente - dice Loiero - altri militari si sono recati presso la mia abitazione di Catanzaro e negli uffici della Regione Calabria sia a Catanzaro che a Reggio. Solo attraverso il decreto consegnatomi sono venuto a conoscenza di cosa si tratti: l’inchiesta Why Not, aperta due anni fa e nella quale, dopo Prodi e Mastella, faccio ingresso anch'io. A parte il trauma di vedere i militari frugare tra le mie cose più intime in maniera generalizzata (hanno preso di tutto senza un mandato o una direttiva precisa), non riesco a perdere la serenità. Convinto come sono che emergerà la mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati. Fatti vaghi: si fa riferimento a presunti finanziamenti che avrei ottenuto durante la campagna elettorale del 2005 in cambio di favori. Ma nel capo d'imputazione di quei favori non c’è alcuna traccia. C’è semmai prova del contrario: nelle intercettazioni telefoniche di Saladino lo stesso lamenta proprio l'atteggiamento estremamente rigido che io avevo assunto nei confronti dei giovani di Why Not. Mi sembra quindi chiaro che le perquisizioni di oggi solo in apparenza sono finalizzate a trovare prove degli assunti favori, mentre nella sostanza è evidente che hanno lo scopo di mettere sotto la lente di ingrandimento la mia intera attività politica. Cosa - aggiunge Loiero - della quale tra l'altro sono contento non avendo assolutamente nulla da nascondere. D’altra parte capisco che i magistrati di Catanzaro che mi hanno indagato, Pierpaolo Bruni e Alfredo Garbati, non potevano che agire così: non potevano cioè che essere più realisti del re. Basti ricordare che l’ex pm De Magistris, inizialmente titolare dell'inchiesta, ha denunciato presso la Procura di Salerno i seguenti magistrati: l'avvocato generale dello Stato Dolcino Favi, che ha avocato l'indagine; il precedente procuratore generale della Corte d'appello di Catanzaro, dott. Pudia; l'ex procuratore della Repubblica di Catanzaro e quello attuale, Lombardi e Murone; il presidente del Tribunale della libertà, Rinardo; il sostituto procuratore generale della Corte d'appello, D'Amico; l'ex presidente di sezione della Corte d'appello, Baudi, nonchè diversi appartenenti alle forze dell'ordine. Insomma nel palazzo di giustizia di Catanzaro il clima è tutt'altro che sereno e purtroppo per me chi oggi ha in mano il procedimento non può che essere condizionato di riflesso da questo clima. A questo punto però mi auguro fortemente che l'esito della perquisizione, certamente per me positivo, segni l'ultimo passaggio di quest’inchiesta. Infine - conclude Loiero - una riflessione: sono già stato indagato da De Magistris in un’altra inchiesta per la quale lo stesso magistrato mi aveva assicurato in presenza del suo procuratore capo e del mio avvocato che avrebbe chiuso le indagini nel giro di quindici giorni. In verità la chiusura è avvenuta dopo un anno circa e con la richiesta di rinvio a giudizio. Lungo questo interminabile arco di tempo sono stato demonizzato da più parti da figure istituzionali ma anche da imputati di omicidio e furfanti vari. Con riflessi inimmaginabili sulla Regione. Quando un giorno, spero non lontano, risulterò anni luce lontano dagli addebiti che mi si attribuiscono, chi mi potrà mai risarcire e chi soprattutto risarcirà la mia difficile regione?''.

CIAO CIAO ALLE INDAGINI DI BRUNI

Bruni e Garbati sono stati “più realisti del re, condizionati dal clima…”. Senza parole. Sono senza parole.
Morale: ciao ciao Why Not per Bruni e la Procura di Catanzaro (ma guarda te i casi della vita), sta ancora spremendo le meningi sul futuro degli indagati (sono un centinaio) che attendono di sapere se saranno o meno rinviati a giudizio. Ma ci sono le regionali che si avvicinano…Le elezioni, come la notte, portano consiglio a tutti…
Dopo di allora, mai più da parte di Loiero Agazio e dai suoi sodali, una nota ufficiale sul sito della Regione verso un Pm al quale sono stati sottratti processi vitali per scardinare il marcio della vita calabrese, che in questi sei mesi – nel totale silenzio dell’organo di autogoverno della magistratura, delle correnti e correntine della magistratura stessa, della politica parolaia, della Procura generale di Catanzaro e della stessa Procura nazionale antimafia – si sono andate a far benedire.
Si avete letto bene: in questi sei mesi chi aveva interesse ha potuto inquinare come e quando ha voluto le prove di processi che non si sa (ufficialmente) neppure in quali mani siano stati ora affidati.

GAETANO OTTAVIO BRUNI SIEDE ALLA DESTRA
DEL PADRE (POLITICO)

Mentre questo accade da mesi, Loiero Agazio (che, poffarbacco, come auto-dichiara alla stampa ha tutte le carte in regola per ripresentare la sua faccia agli elettori calabresi nel 2010) tiene al futuro di Bruni. No, non Pierpaolo. Che pensate! Ottavio Gaetano Bruni.
Costui fino al 26 luglio 2008 è stato “responsabile dell’Unità organizzativa della presidenza della Giunta” (boh!).
Quel giorno – travolto da un doloroso scandalo familiare che, per estremo rispetto non ricordo qui, perché non sono uno sciacallo ma un giornalista padre di famiglia – diede le dimissioni ricordando in una lettera spedita a Loiero (che l’ha tempestivamente pubblicata sul sito della Regione) che “…in tanti anni di militanza politica con ruoli istituzionali anche importanti alle spalle – sono stato prima assessore e poi due volte presidente della Provincia di Vibo – non sono mai stato sfiorato, in un territorio difficile come quello calabrese, da un avviso di garanzia. ..se mi dimetto lo faccio solo per evitare strumentalizzazioni politiche ai tuoi danni proprio nel momento in cui la regione da te guidata sta compiendo uno sforzo straordinario per lasciarsi alle spalle i grandi problemi ereditati dal passato”. “Sono vicino a Bruni – ha commentato contrito il Presidente-pubblicista Loiero Agazio - che ha svolto un ottimo lavoro, in silenzio e senza quel clamore che per natura non ama. Adesso gli è scoppiato un dramma familiare a cui mi sento con solidarietà e amicizia vicino. Ha deciso di dimettersi per evitare strumentalizzazioni ai miei danni ed ai danni della giunta che presiedo. Anche di questo lo ringrazio”.
Fine della prima puntata. Va però ricordato che Bruni (Gaetano Ottavio) fu chiamato in quel ruolo perché aveva volontariamente abbandonato – dopo uno straordinario balletto di tiro, ritiro, busso, ribusso, mamma ciccio mi tocca, toccami ciccio che mamma non vede, lascio e raddoppio – il posto di presidente della Provincia con la promessa (tradita) di essere candidato alle politiche. Questo politico poteva essere lasciato fuori dai giochi della politica calabrese? No, ed ecco allora la mossa paterna di Loiero Agazio: prego, figliolo, accomodati alla mia destra. Per ora vicino, poi, più in là, “vicino-vicino”.
E infatti di lì a poco, e trascrivo fedelmente dal “Giornale” del 16 ottobre, “…lo stesso giorno in cui la procura di Vibo Valentia invia un avviso di garanzia a Ottavio Bruni, ex presidente della provincia omonima, Loiero lo piazza sulla prestigiosa poltrona di capo di gabinetto, tralasciando il fatto che l’indagine riguarda l’alluvione di Vibo del luglio 2006 che sconquassò la città provocando tre morti. A Bruni si contesta l’inondazione colposa, il danneggiamento colposo e l’omissione di atti d’ufficio. I fatti addebitati a Bruni, secondo i pubblici ministeri calabresi, sarebbero stati il prodotto di «negligenza e imperizia» per non aver messo in sicurezza le reti infrastrutturali nei punti di criticità individuati dal Piano per l’assetto idrogeologico e per non aver designato il funzionario responsabile”.
E’ chiaro che prima della chiamata alla destra del padre (politico), al fedelissimo (che nega ogni addebito) non era stato risparmiato un incarico di prestigio: presidente del Consorzio per lo sviluppo industriale, che tra le altre cose dovrebbe gestire i finanziamenti post-alluvione.
Sui quei finanziamenti, la solita Angela Napoli in una lettera inviata il 9 ottobre al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, aveva invitato a vigilare, visti gli appetiti famelici delle luride cosche vibonesi.
Del resto che volete cari lettori – e riporto un articolo del quotidiano “Il Foglio” del 1° marzo 2006 - “…Loiero considera Ottavio Bruni una macchina da guerra elettorale che vale il 62% dei voti locali”. Più o meno 20mila voti. Caspita se servono ora che le elezioni regionali si avvicinano e con esse la pugna e la singolar tenzone…

RICORDATE LA DOTTORESSA MANZINI? ….ADDIO POOL ANTIMAFIA

Mentre i due Bruni vivono questa vita parallela destinata (per ora) a non incontrarsi, in Calabria accade anche altro. Si viene storditi e distratti da film e premi. Pane et circenses, anche se in Calabria spesso il pane manca. I giochi del circo, il divago che stordisce e che fa parlare una pubblicistica (che non considero giornalismo) lontana dai miei valori, invece non mancano.
Il film è quello di Wim Wenders, “Il Volo”, un corto di 8 minuti presentato dalla Giunta regionale con gioia e gaudio il 7 settembre, visto che parlerà di immigrazione, dell’accoglienza e dell’ospitalità del popolo calabrese (sulla quale moltissimo ci sarebbe da discutere, fuori dalle ipocrisie).
Il popolo calabrese – alle prese con disoccupazione, malasanità, malapolitica, ‘ndrangheta, ambiente devastato, scuola arretrata, sviluppo industriale inesistente, turismo affossato, caporalato, fondi Ue rubati, burocrazia devastante eccetera eccetera eccetera – non vede l’ora di assistere allo spettacolo.
Il film – ne sono certo: sarà indimenticabile e rappresenterà una pietra miliare nella filmografia cosmica - costerà circa 184 mila euro, con la Regione coproduttrice con 70mila euro. Questo film che ancora non esiste, vista la nullità galoppante del giornalismo, professione alla quale sempre più mi vergogno di appartenere, si è imposto sui media nazionali molto, ma molto più della vicenda Bruni. Calmi, c’è un motivo: Bruni per Wim Wenders non è fotogenico…Ha preferito Ben Gazzara.
I premi, invece, sono quelli che riguardano “nonno Agazio” (copyright indegnamente rubato alla Gazzetta del Sud). A lui, pensate, è andato – e lo dico rispettando al massimo la memoria della persona - il Premio “Vincenzo Restagno”, assegnato dal presidente del Circolo “Paleaghenea” Mario Maesano. “Significativa – si legge nel comunicato stampa, pubblicato forse come pietra miliare della storia calabrese sul sito della Regione il 24 ottobre 2009 - anche la motivazione. Ad Agazio Loiero in quanto gentiluomo della politica, esempio di concretezza, efficienza e risolutezza della pubblica amministrazione che ha saputo coniugare impegno e spirito di servizio. Artefice della crescita del Mezzogiorno degli ultimi anni, è stato promotore di eccellenti iniziative volte allo sviluppo della Calabria”.
Il presidente Loiero Agazio si è detto particolarmente emozionato perché “è il primo premio che ricevo”. C’è sempre una prima volta.
Io non ho parole. E non voglio averne. Commosso, mi asciugo le lacrime e vi racconto che mentre questo accade in Calabria, il sostituto procuratore antimafia della Dda di Catanzaro con delega per Vibo Valentia (ma guarda tu le coincidenze…), Marisa Manzini, dal 10 ottobre ha lasciato volontariamente l’incarico dopo 6 anni e ha chiesto (e ovviamente ottenuto con gioia di molti) di essere aggregata alla tranquilla Procura regionale di Catanzaro. Poteva restare al suo posto per altri 4 anni ma non ha voluto (e potuto…).
Manzini ha messo sotto scacco le cosche vibonesi (Mancuso, Lo Bianco, Bonavota, Fiarè, La Rosa, Anello e Soriano) conducendo storici processi ma tutto questo non le è bastato ad evitare una incredibile interrogazione parlamentare presentata il 1° ottobre 2008 dal senatore del Pdl Giuseppe Menardi da…Cuneo (si veda il mio post pubblicato il 23 novembre 2008).
Il politico coi baffi in pratica chiedeva di conoscere dal solito Alfano se la pm Manzini fosse collusa con la ‘ndrangheta. Una cosuccia da ridere tanto che chiedevo – me tapin tapinello – al ministro Alfano di rispondere subito al senatore e con lui all’Italia intera, perché delle due l’una: o Manzini è un valido magistrato antimafia o, se è collusa, va cacciata a calci nel sedere e magari processata, condannata e messa alla gogna.
Risposte del ministro all’Italia: zero. E così – nonostante un sollecito dossier di fuoco spedito da Manzini ad Alfano su questa polpetta cuneese avvelenata – la Manzini stessa, azzardo io, ha più o meno ragionato così: sapete che c’è? Annatevene tutti a quel paese, lascio la Dda e andate avanti voi a lottare contro i mulini a vento.
La solita Angela Napoli, dopo aver presentato un’interrogazione parlamentare su Manzini già il 25 giugno 2008 (http://www.angelanapoli.blogspot.com/) chiedendo ai ministri dell’Interno e della Giustizia il motivo dell’isolamento del magistrato, ne ha presentata un’altra il 14 ottobre 2009.
Questa volta la cosa è più grave perché oltre a chiedere conto dell’allontanamento di Manzini, la parlamentare chiede anche di sapere per quale motivo, dal 2007, nella provincia di Vibo Valentia devastata dalla potenza delle ‘ndrine, della malapolitica e dei grembiulini sporchi, sia stato di fatto smantellato un pool antimafia che poteva contare su alcune eccellenze investigative ed inquirenti: ad esempio, oltre ovviamente a Manzini, il capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti (ora a Caserta), il suo vice Fabio Zampagliano e un generale dei Carabinieri.
Vale qui per Manzini il ragionamento che Napoli ha fatto a proposito del pm Bruni, allorchè denunciava che la sua estromissione dall’organico “peraltro già striminzito, della Dda di Catanzaro, è sicuramente un atto che svilisce la bontà del contrasto alla criminalità organizzata, ed appare, ad avviso dell’interrogante, un segnale di incoraggiamento al sistema di malaffare, corruzione e collusione che imperversa in Calabria”.
Ma del resto di cosa si deve preoccupare la Calabria? Sta o non sta per spiccare “Il Volo” con Wim Wenders? Sì, un volo a precipizio. Inarrestabile. Oltre il baratro.
roberto.galullo@ilsole24ore.com