martedì 4 febbraio 2014

Stato di coma etico




IL nostro Paese è sprofondato in uno “stato di coma etico”, dove si annidano interessi personalisti, malcostume e corruzione, e dove, pertanto, è diventato estremamente difficile individuare una netta linea di demarcazione tra ciò che è legale e ciò che non lo è.
Purtroppo della parola “legalità” se ne abusa anche a sproposito, per cui si disperde il suo valore sociale che dovrebbe essere diffuso come esigenza morale. Ci ritroviamo così spesso a sentir parlare di “legalità” da coloro che “sguazzano” in sistemi incentrati sull’abuso e sul sopruso.
L’affermazione meramente “formale” della legalità senza effettiva incisività negli interventi concreti finisce per favorire una illegalità di sostanza, fatta di compromesso e di corruzione, con la conseguenza dell’affermarsi di un diffuso malessere che incrina alla base quel consenso sociale che, com’è noto, è il fondamento stesso della civile convivenza.
E laddove vige l’illegalità diffusa, laddove la legalità è debole, nei circuiti politici – burocratici – affaristici illegali, vengono favorite le organizzazioni mafiose. Assecondare o diventare parte di sistemi di malaffare e corruzione, mettersi a disposizione di contesti ambientali particolari, vuol dire accettare lucidamente la possibilità di farsi asservire agli interessi criminali mafiosi, che stanno alla base di tutte le stragi di mafia.
E’ quindi indispensabile impegnarci per far riappropriare la collettività della legalità nel suo significato più profondo, unendo responsabilità e giustizia.
Recuperare la legalità, garantire sicurezza e giustizia dovrebbero essere i primi compiti di uno Stato democratico. Le politiche di sicurezza non possono però essere garantite dal solo intervento repressivo, ma devono essere integrate da iniziative orientate a favorire il diffuso consolidamento della cultura della legalità. Occorre, quindi, il concorso di molteplici risorse, iniziando da una maggiore collaborazione civica.
A dire il vero, oggi si registra un dinamismo per la diffusione della cultura della legalità e nel versante dell’antimafia, che fino a pochi anni orsono era inimmaginabile. Ma, in contrapposizione, ho l’impressione che alla regola come disciplina generale delle nostre comunità, si sia sostituito un marcato soggettivismo, etico e comportamentale, che ha corroso il concetto stesso di norma coesistenziale. Intravediamo, infatti, prevalere interessi particolari, privilegi, zone più o meno ampie di franchigia, immunità, poteri che vengono esercitati in luoghi chiusi o segreti.
Proprio per tale motivo sempre più urgente diviene il richiamo ad una maggiore giustizia e sempre più forte è la denuncia per il dilagare di una diffusa illegalità.
Il principio di legalità colto nel profondo della sua sostanza vuole che ciascuno, sia esso pubblico amministratore, politico, imprenditore, pezzo di una Istituzione o comune cittadino, agisca con coerenza e con fedeltà ai doveri. Ha un’anima composita la legalità ed essa è assolta quando ciascuno agisce secondo un principio di responsabilità.
Bisogna ricreare la cultura dei doveri, paritetica alla cultura dei diritti. Non esiste giustificazione della pretesa di riconoscimento dei propri diritti se non vi è una corrispondente forte coscienza dei propri doveri. Occorre ripristinare una cultura nuova dei doveri, portanti ad una cultura della legalità, intesa questa come coscienza di appartenenza ad una comunità le cui regole legittimamente poste vanno osservate.
O crediamo in ciò e riusciamo a far capire che questo deve essere per la vita di ciascuno e di tutti o, altrimenti, si continua a rimanere nel caos sociale dove vince il primordiale rapporto di forza che tende a calpestare non soltanto ogni ragione ma anche ogni diritto ed ogni fondamentale regola della convivenza civile.


Angela NAPOLI
(Collaboratrice Commissione Parlamentare Antimafia)

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