sabato 10 ottobre 2009

L'intervista a il Politico.it

Il malcontento dei finiani: “Avanti così e noi potremmo andarcene”

Ottobre 9, 2009 di Redazione


Esclusiva il Politico.it. Sentite cosa ha da dire Angela Napoli, deputata Pdl proveniente da An, alla quinta legislatura e quindi non proprio politicamente di primo pelo. Sulla reazione del premier alla decisione della Consulta: «Le sentenze possono fare male ma vanno accettate. E le istituzioni si rispettano. In Parlamento - aggiunge - spesso chiamati dal Governo a pigiare solo un bottone, anche se lo stesso era avvenuto pure in precedenti legislature». Fu tra i parlamentari che si assentarono al momento del voto sul decreto economico: «Lo scudo fiscale? Risponde ad esigenze di bilancio reali, ma è ingiusto nei confronti di chi lavora e non escludo che venga sfruttato dalla criminalità. In questo partito - conclude - che non ha un progetto politico, non ritrovo più i miei valori, la mia identità. Vedremo quali scelte compiere». L’intervista è di Ginevra Baffigo.

di Ginevra BAFFIGO

Onorevole Napoli, partiamo dalla strettissima attualità: il Lodo Alfano. Cosa pensa che potrà accadere ora che la Suprema Corte si è pronunciata?
«Intanto io credo che si debba prendere atto della sentenza della Suprema Corte; è la Corte Costituzionale che ha deliberato il verdetto. A molti può non fare piacere, ma ribadisco che il pronunciamento deve essere accolto senza commenti, perché questi potrebbero ribaltarsi in maniera negativa. Ciascuno di noi può condividere o non condividere l’esito, ma ciò non significa che non occorra continuare a rispettare le istituzioni. E quando dico le istituzioni intendo che si cominci con il presidente della Repubblica. In quanto a quel che potrà accadere, penso che al momento debba proseguire l’attività dell’attuale governo e del Parlamento; e che, nell’ambito della prosecuzione dei lavori, il governo stesso debba incoraggiare il Parlamento tutto ad attuare le riforme nel più breve tempo possibile. Perché un dopo Berlusconi secondo me avrà senso solo se preceduto da adeguate riforme costituzionali. L’attività dovrà proseguire, senza iniziative che potrebbero presentarsi come rivendicative di qualcosa o di qualcuno, ma solo ed esclusivamente nell’interesse della comunità nazionale».
La sua posizione ricalca quelle assunte ieri dal presidente Fini, e segna una distanza dal premier.
«Fini per il ruolo che ha, ha assunto anche in questo caso un atteggiamento condivisibile. Io sono una semplice parlamentare, e proprio per questo mi sento assolutamente tranquilla nel dire che secondo me sono state assolutamente esasperate alcune dichiarazioni e che personalmente non le condivido nella maniera più assoluta. Così come ho detto prima, le sentenze possono far male, ma vanno accettate col massimo rispetto. E soprattutto, ribadisco, non oltraggiando le massime cariche dello Stato».
Intanto la bocciatura del lodo riapre importati processi. Qualora venisse giudicato colpevole in uno di questi procedimenti, a suo modo di vedere Berlusconi dovrebbe dimettersi?
«Questa è una decisione che dovrà prendere lo stesso presidente del Consiglio. Io lascerei tempo al tempo, senza presagire verdetti di alcun genere, perché significherebbe intervenire in quelle prerogative della Magistratura, alla quale si deve il massimo rispetto, congiunto alla fiducia. Pensare o intervenire adesso, presagendo future sentenze, mi sembrerebbe pari ad un intervento. Ed io sono rispettosa della Costituzione Italiana».
Come giudica comunque l’ipotesi di ritorno alle urne?
«Penso che non sia opportuno parlare di elezioni anticipate, potrebbero esserci tante altre soluzioni. Intanto perché credo che il cittadino italiano sia anche non preparato, ma soprattutto stanco di essere continuamente chiamato a votare. Tant’è che ad ogni elezione siamo costretti a registrare un aumento del “Partito del non voto”, lo definisco così. Proprio perché c’è questa diffusa stanchezza, da collegarsi poi alla sfiducia nei confronti del mondo politico. Un richiamo alle urne, in questo momento, potrebbe anche riportare ad una riconferma dell’attuale maggioranza, ma non mi sentirei di prospettare un risultato numerico come quello attuale. Allo stesso tempo, mi preoccupa l’ipotesi di anticipare le elezioni perchè in questo momento di grande difficoltà e confusione si creerebbe il consenso verso quei partiti che nascono dal basso, come per esempio quello di Grillo. E ciò non potrebbe che preoccupare. Ecco perché parlavo della necessità di attuare le riforme: perché andare al voto senza è un rischio enorme».
E dell’idea di un Governo di transizione presieduto magari da Gianfranco Fini, cosa pensa?
«Egoisticamente mi piacerebbe, perché riconosco nel presidente Fini una figura politica di alto profilo, una figura capace anche di mediare ed in questo momento servirebbe molto. Quindi potrei augurarlo, anche se forse non è ancora il momento».
Ma torniamo alla dialettica istituzionale. Cosa fareste di fronte ad una ulteriore forzatura di Berlusconi?
«Quella dei “finiani” non so, ma la mia posizione sarebbe di rottura. Perché le istituzioni vanno rispettate; si può non avere la stessa provenienza politica, si possono assumere posizioni diverse, ma le istituzioni vanno rispettate. Qualsiasi reazione vendicativa che possa poi scendere addirittura nel profano, non può essere accettata. Ritengo di dover ricordare a ciascuno di noi parlamentari, rappresentanti del governo, presidenti del Consiglio, che noi siamo eletti dal popolo. Il popolo ha la sua Carta costituzionale e questa va rispettata. Che si possa modificare non v’è dubbio, ma ci sono le sedi adeguate e bisogna evidenziare la volontà del cambiamento. Il dettato della Corte Costituzionale credo che sia rispettoso dell’essenza dei cittadini italiani e questo rispetto deve essere prioritario in chi ha compiti istituzionali, per altro elevati».
Non sembra esattamente la linea della Lega…
«Purtroppo è così. Però la Lega Nord riesce ad acquisire maggiore consenso perché è riuscita a preservare la propria identità, non fondendosi nel Pdl, ma coalizzandosi. In tal modo è più facile mantenere la presa tanto all’interno del Governo quanto in Parlamento e così riescono a portare a compimento quelle che sono le risoluzioni chieste dalla loro gente, del loro territorio. Cosa che poi si traduce in consenso: perché il movimento rimane l’unico a rappresentare le istanze della base. Tali pulsioni potranno essere più o meno condivisibili, ma di certo finiscono però col cozzare con quella che era l’identità di An. Perché se parliamo di mancato rispetto dell’unità nazionale, mancanza di rispetto di quelle che sono le istituzioni principali, non ci ritroviamo. Poi ci sono anche battaglie che condividiamo, mi riferisco ad esempio all’immigrazione, anche se poi loro esagerano: perché non trattano il problema dei rifugiati, delle badanti, e così via. Ci sono degli argomenti sui quali ci si potrebbe ritrovare, ma senza abbandonare quella che è la prospettiva dell’unità nazionale».
In questi mesi si è venuto a creare un dualismo interno alla maggioranza. Da un lato si è consolidato il predominio di Berlusconi e parallelamente si è sviluppato un sempre più frequente richiamo al rispetto delle istituzioni da parte di Gianfranco Fini. Come valuta la linea del presidente della Camera?
«Sono decisamente dalla parte di Fini. Non perché provengo dalle file di Alleanza Nazionale, ma perché credo che Fini abbia colto il malessere che si registra all’interno della maggioranza politica attuale. Dovuto soprattutto alla mancanza di rispetto che spesso l’attuale Governo ha avuto nei confronti del Parlamento. Pur recependo la necessità e l’urgenza di alcuni interventi governativi, sui quali non c’è che da esprimersi positivamente, è altrettanto vero che dall’inizio di questa legislatura sono state sottratte le prerogative del Parlamento. Certo, io provengo da legislature precedenti e devo lamentare analoghi comportamenti da parte dei precedenti governi. Il parlamentare spesso è stato chiamato, in particolare quello di maggioranza, semplicemente ad essere presente, a pigiare il bottone, senza essere coinvolto o, meglio, reso protagonista della decisione. Ad esempio, gli interventi emendativi ai vari decreti che sono stati presentati anche da parte dei componenti della maggioranza parlamentare, e che perciò in quanto tali non possono essere letti come ostruzionistici, e che al contrario sono chiaramente propositivi, non sono stati accolti. Così come finora non si è dato spazio all’iniziativa parlamentare. Sono giacenti numerosissime proposte parlamentari su argomenti sicuramente importanti, ma, allo stato attuale, nelle Commissioni non è nemmeno iniziato l’iter legis, proprio perché tanto le commissioni quanto l’Aula sono state impegnate dal supportare le iniziative governative».
A proposito di questo. Lei non era in aula al momento del voto sul decreto economico che ha introdotto le norme del cosiddetto scudo fiscale. Perché?
«La mia assenza è leggibile sotto tanti versi, proprio perché sono una tra le parlamentari più presenti, sia per le presenze fisiche sia per la mia attività. Open polis mi ha visto prima in una delle sue iniziative proprio per questo. Quindi è strano che io sia stata assente quel venerdì, in cui si votava un provvedimento sicuramente importante. Devo dire che l’assenza non è dovuta alla disapprovazione del contenuto del decreto legge, anche se questo, non nascondo, generava in me non poche perplessità, data anche la mia particolare attività in termini di lotta e contrasto alla criminalità organizzata. Però l’assenza è dovuta ad impegni inderogabili, non ho avuto la possibilità di partecipare al voto, ma ho comunque espresso favorevolmente il voto di fiducia».
Lo giudica quindi dannoso sotto il profilo della lotta al crimine?
«Andiamo con ordine. Partendo da una valutazione oggettiva considero di estrema importanza per l’aspetto economico della vita della nostra nazione che in questo momento di crisi rientrino i capitali, anche e soprattutto perché alla crisi si aggiungono, purtroppo, le numerosissime calamità naturali, per le quali servono finanziamenti. L’obiettivo della legge non può perciò che essere valutato positivamente. Se poi però lo si confronta con l’aliquota del 5%, che viene imposta attraverso lo scudo fiscale, sul rientro di questi beni illeciti, nel senso che sono stati trasferiti all’estero per chi sa quanti anni, pensare che un lavoratore italiano vede sottoposto il suo reddito ad un’aliquota sicuramente maggiore, crea non poche perplessità. Così come non nascondo, e vengo alla sua domanda, che dietro questo rientro ci possano essere dei capitali sicuramente illeciti, portati all’estero da parte della criminalità organizzata, ripuliti al di là del confine, per poi tornare così in Italia. Certe condizioni potrebbero far gola anche alle organizzazioni criminali e perciò le mie perplessità ci sono. Ma non sono queste che hanno determinato la mia assenza».
Ci conferma che si tratta di una sensibilità diffusa tra le fila dei parlamentari Pdl che si riconoscono in Fini?
«Senz’altro. Per quel che riguarda i “seguaci di Fini”, io non posso definirmi che così, ritengo però che debbano essere guardati non come coloro i quali seguono Fini con vago qualunquismo, o per una vecchia appartenenza. Lo seguono, o lo seguiamo, perchè è proprio nella logica di chi vuole ragionare. Io ho sempre avuto grande rispetto di Fini e credo che lo stesso in questo momento stia facendo benissimo il suo compito di presidente della Camera, anche alle volte dimostrando apparentemente di assecondare l’opposizione, ma di fatto non è così. E’ giusto che un presidente di una delle Camere sia al di sopra delle parti, che poi esprima il proprio pensiero su alcuni provvedimenti mi sembra lecito, e quindi non esecrabile per questo. Se poi quello che esprime non viene condiviso da alcuni… insomma siamo in democrazia!».
A suo modo di vedere il presidente della Camera proseguirà per questa strada anche a costo di rompere con il premier?
«Ma Fini ha un compito: è il presidente della Camera dei Deputati. Non può far prevalere la volontà del premier rispetto a quella del regolamento del Parlamento. Quando il presidente Fini ha fatto i suoi richiami sulle regole parlamentari, lo ha fatto appunto nel rispetto dell’istituzione del Parlamento, che non può che essere rispettata. Certo, la dialettica è giusta, ma è inimmaginabile pensare che tra i due confronti ci debba essere un vincitore ed un vinto. Credo che in questo momento Fini stia facendo bene il suo lavoro, Berlusconi piuttosto dovrebbe scendere un po’ più dal suo piedistallo e capire qual’è il ruolo del Parlamento, condividendo quelle che sono le prerogative delle Camere. Penso che se questo accadesse non si potrebbe parlare né di futuri scenari occulti né di vincitori o vinti, ma semplicemente di riconoscenza nei confronti di una delle più importanti istituzioni della nostra nazione».
Parliamo invece degli scenari occulti. Il grande centro come è visto da voi finiani?
«Questa è una cosa sulla quale bisognerebbe tanto meditare. Io sono convinta che l’Italia abbia necessità di consolidare il bipolarismo, ma non il bipartitismo. Allo stato attuale questo consolidamento rischia di non avvenire, perché da una parte e dall’altra si tende di più a ricercare il bipartitismo, che fa disperdere le identità. In questo modo con molta probabilità potrebbe nascere di nuovo il grande centro. E’ una questione di responsabilità dei grandi partiti, tanto nel centrodestra come nel centrosinistra. Se all’interno delle due grandi coalizioni si desse la possibilità di far emergere di più le rispettive identità, forse potremmo evitare questa rinascita del centro. Ma se così non fosse potrebbe essere nelle cose, anche se capisco che la nascita di un terzo polo rischierebbe di non metterci al passo con le altre nazioni europee. Bisognerebbe evitarlo, ma per fare ciò anzitutto vanno individuate le strategie. In questo momento, in tutta sincerità, non mi sembra che ci sia, anche dalla parte opposta, questa volontà. C’è la tendenza a creare due partiti, che presto diventano i partiti dei due presidenti, che ovviamente non lasciano spazio alla base. Ora come ora, quelli che sono i miei valori, la mia identità, non li ritrovo all’interno del Pdl, e questo mi crea agitazione. Un’agitazione tale da potermi portare a fare delle scelte in nome dei miei valori e di quelle che sono state le mie battaglie, che non mi sento di tradire. Sono delle scelte di fronte alle quali ci vorrà la massima oculatezza, ma che ognuno di noi farà. Sono alla quinta legislatura e pur capendo il momento, non posso tradire la mia identità».
Per concludere, sul piano invece dell’organizzazione, il Pdl è ancora così distante dalla struttura-partito che voi di An chiedete dall’inizio?
«Molto distante, e priva di democrazia. Di fatto non c’è un’organizzazione in questo momento. Ma era qualcosa da presupporsi. Io ero stata molto critica nella fase di costituzione, perché, anticipando il mio pensiero su quanto sarebbe poi accaduto, non condividevo la fusione attraverso quote. Un partito politico dovrebbe nascere improntato su valori, su progetti, ed è a questi che bisognerebbe aderire, non attraverso un meccanismo di quote. Perché poi si finisce automaticamente per creare correnti interne al partito stesso, che sono sempre destabilizzanti e non aiutano a realizzare quel progetto, che a mio aviso si rende indispensabile. Perché così com’è stato costituito il Pdl, in mancanza di progetto ma non di quote, è diventato un partito che semplicemente asseconda quelle che sono le volontà del governo, ma non è propulsivo per lo stesso. Mentre un partito dovrebbe essere propositivo e non dovrebbe ritrovarsi, come allo stato attuale, solo ad assecondare le volontà del suo leader, tra l’altro talvolta condivisibili, talvolta no. E io mi sento estranea in un partito in cui non riesco a cogliere il progetto politico».

Ginevra Baffigo

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